Luciano Moggi, la Juventus, Pogba e Farspoli
E di molto altro ancora ha parlato l'ex direttore generale bianconero in un incontro con i tifosi iscritti allo Juventus club
Luciano Moggi, la Juventus, Pogba e Farspoli e di molto altro ancora ha parlato l'ex direttore generale bianconero in un incontro con i tifosi iscritti allo Juventus club.
Luciano Moggi, la Juventus, Pogba e Farspoli
Luciano Moggi, uno one man show in bianco e nero. Il numero uno dei dirigenti del calcio italiano non ha tradito le aspettative che un personaggio come il suo suscita. L’occasione è l’appuntamento organizzato martedì scorso nei minimi particolari dallo Juventus Club di Crescentino del presidente Antonio Ginipro che siede sul palco a fianco ad Enrico Zucchelli, addetto alla comunicazione del club. Tutto è pronto allo «stadio», anzi, al Teatro Civico Angelini per il fischio di inizio di una “partita” lunga 90 minuti (recupero “mondiale” compreso), durante la quale non sono mancati applausi e selfie ricordo finali con il «re», indiscusso, del mercato.
Si apre il sipario
E Luciano Moggi è lì, al centro. Seduto su un divano d’epoca - per richiamare anche la sua storia calcistica che abbraccia la vita “pallonara” dagli anni Ottanta fino al nuovo millennio inoltrato - con intorno cimeli bianconeri o il suo celebre (e inseparabile) impermeabile color beige - con il direttore di Radio Bianconera, Antonio Paolino a disegnare assist, perdon, a fare domande, senza tralasciare il controverso periodo di Calciopoli, che Moggi ribattezza senza mezzi termini: «farsopoli». Parte dagli albori nel ripercorrere le tappe della sua carriera sportiva.
«Ho imparato da Italo Allodi» dice riavvolgendo il nastro. «Sono sempre stato uno che ha imparato guardando e osservando gli altri. Essere dirigente di una società di calcio, oggi, come all’epoca, vuol dire gestire delle aziende che introitano milioni (ieri miliardi) dai diritti Tv e in Juve ho fatto questo».
La paletta
Ma prima di tutto questo Luciano Moggi lavorava in ferrovia. «Sì, ma non facevo il capotreno con la paletta come piaceva dire ai giornalisti ai tempi. Ma io glielo facevo “credere”, così scrivevano di me e li distraevo dalle operazioni di mercato che stavo per fare»; risate e applausi. Perché i tifosi presenti in sala, per una rapida associazione di idee, ripensano ai colpi di Moggi dell’epoca («E quali avrei sbagliato?», risponde a chi gli fa presente che non sempre ha azzeccato rischiando il reato di lesa maestà) ai colpi sbagliati del club bianconero di questi ultimi anni (Ramsey, Arthur … ). E lui da dirigente e decisionista qual è stato non si fa pregare due volte a dire: «Pogba? Se ci fossi stato ancora io alla Juve, si sarebbe operato il giorno dopo l’infortunio in America, altro che terapia conservativa!», giusto per far capire come avrebbe gestito il caso del francese messo sotto contratto a luglio per 10 milioni di euro e senza un minuto giocato. «E lo dico perché io nella mia storia sono uno che ha messo in panchina Maradona quando ha sbagliato». Uomo che non le ha mai mandate a dire, anzi, le ha sempre dette.
La Juve non deve tacere
«E oggi la Juventus sbaglia a non replicare a tutti gli attacchi che riceve: essere continuamente vilipesi, senza controbattere, alla fine fa sì che quella menzogna, col tempo, diventi realtà. Per questo non condivido i silenzi del club». Poi Moggi ricorda i colpi Zidane - «Comprato a 5 miliardi di lire e rivenduto a 150» o di Pippo Inzaghi - «Preso a 15 e ceduto poi per 80». Quando sono arrivato alla Juve, qualche anno dopo rispetto a quanto doveva succedere perché Cesare Romiti nella prima trattativa si intromise e fece saltare l’accordo, il club non vinceva da 9 anni e aveva 55 miliardi di debiti: io, Bettega e Giraudo, più Romy Gay al marketing, abbiamo dato via ad un ciclo vincente». Durante il quale la Juventus cambia tre allenatori e «Moratti all’Inter 25», sottolinea per dire che «sono stato anche tifoso dell’Inter, ma conosciuto il suo presidente (mi è bastato fare un’operazione, quella per cedere Moriero al Middlesbrough che proprio Moratti mi chiese di fare salvo poi cambiare idea alla firma), per convincermi che non era un presidente per me. Diverso Berlusconi - aggiunge - pendeva dalle mie labbra e nel 2004 mi voleva al posto di Galliani, ma preferii restare alla Juve».
Le intercettazioni
E poi le intercettazioni telefoniche. «Ben 170.000 e neanche una con un profilo penale», sottolinea Moggi. «Ho lottato da solo, in un processo falso. Son stato usato come capro espiatorio, ma la sentenza della giustizia ordinaria dice che né io e né la Juventus abbiamo commesso reati. Così come gli arbitri: tutti assolti. Allora di cosa stiamo parlando? Hanno voluto processare la Juventus perché vinceva troppo. Come oggi. Il club bianconero è sotto attacco perché per 9 anni ha vinto troppo e il giocattolo va smontato».
Dunque, Moggi un santo e tutti gli altri sono i cattivi?
«No, assolutamente. Ma di sicuro Moggi non ha mai tradito né ferito qualcuno e la faccia l’ha sempre messa». Ha chiuso così la sua "partita" con i tifosi.