Donne e sport: l’emarginazione ancora c’è, ma a vincere sono la forza e determinazione. In occasione della Giornata Internazione per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne abbiamo abbiamo intervistato Mattia Malara per non dimenticarci della parte femminile dello sport.
Donne e sport: l’emarginazione
Donne e sport: un binomio difficile? Nelle cronache dell’ultimo anno si sono moltiplicate le storie d’atlete emarginate, in quanto incinta oppure maltrattate dai compagni maschi. Quindi, in occasione della Giornata Internazione per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, svoltasi il 25 novembre, abbiamo voluto affrontare l’argomento per non dimenticarci della parte femminile dello sport. Motivo per cui abbiamo intervistato Mattia Malara, presidente dell’associazione sportiva Lapnea, impegnata anche in campo sociale, grazie ai progetti proposti agli alunni delle scuole del Ciriacese.
Per una donna è facile affermarsi nel modo dello Sport?
«Certo è meno complicato rispetto al passato perché abbiamo le porte aperte in tutti gli sport. Tante sono le occasioni di primeggiare ed esistono dei buoni esempi a riguardo. Ritengo sia un mesaggio importante da lanciare perchè molte ragazze sono indecise. Inoltre funge anche da stimolo per promuovere lo sport in generale».
Nel mondo sportivo le cronache di maltrattamenti per le giovani sportive si moltiplicano. Ti è mai capitato un abuso da parte di un uomo?
«Non mi è mai successo d’essere molestata. Sicuramente atteggiamenti simili esistono e non bisogna avere paura di denunciarli. Anzi, bisogna parlarne a lungo, aiutando anche coloro che spesso subiscono violenze verbali, non solo fisiche».
La gravidanza per una donna che fa sport costituisce uno stimolo o, piuttosto, un freno?
«In nessun caso deve rappresentare un limite. Personalmente ho svolto apnee fino all’ottavo mese e, trenta giorni dopo il parto, riprendevo le mie attività. La gravidanza è un momento molto bello e non deve condizionarti. Ma, se si svolge agonismo ad altissimi livelli, occorre rallentare. Un figlio è una scelta, ma si può tornare di nuovo a gareggiare, una volta superati i primi mesi di vita del neonato».
di Sandra Origliasso