Piazze pro-Pal

Il «senso» della parola antisionismo gridata nella città ex Olivetti

La demonizzazione, il rapporto irrisolto con la Sinistra e l'antisionismo: le complesse relazioni con Israele

Il «senso» della parola antisionismo gridata nella città ex Olivetti

Il «senso» della parola antisionismo gridata nella città ex Olivetti

Le piazze pro-Pal

«Free Palestine from the river to the sea» è solo uno dei tanti slogan che in questi mesi – almeno dalla strage compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023 – risuonano nelle piazze di Ivrea e non solo. Piazze animate da una rispettabile passione civile, nata da ragioni sacrosante – la profonda indignazione per un altro massacro, quello in atto a Gaza –, ma che spesso faticano a confrontarsi con la complessità del conflitto in corso, proponendo visioni manichee e unilaterali. E va bene: viviamo tempi in cui semplificazioni e distorsioni della storia – dalla Shoah alla Resistenza – imperversano nel dibattito pubblico, rendendo difficile uno «studio pacato» (Primo Levi) su un conflitto in cui ragioni e torti non sono tutti da una parte o tutti dall’altra. E che non riguarda solo le relazioni tra israeliani e palestinesi, ma tocca anche la questione iraniana, le dinamiche interne al mondo arabo. Eppure, la storia dovrebbe averci insegnato qualcosa.

La demonizzazione di Israele

Un nodo cruciale, per le conseguenze che comporta, è la demonizzazione di Israele, a cui vengono attribuite tutte le caratteristiche del nazismo, con un capovolgimento tra vittime e carnefici: gli israeliani sarebbero i nazisti di oggi, mentre i palestinesi diventerebbero gli ebrei di ieri, con tutto quell’«archivio antiebraico» (Simon Levis Sullam) di stereotipi al seguito. Questo assunto, diffuso in occasione della guerra in Libano del 1982, genera cortocircuiti tra ebrei, israeliani e governo di Israele. Ed è alla radice di numerosi episodi di antisemitismo che colpiscono l’ebreo in quanto tale, l’israeliano o istituzioni accademiche del tutto estranee alle politiche criminali di Netanyahu e di alcuni suoi ministri. E produce anche un imbarazzante e forzato silenzio sugli ostaggi, vittime quanto i gazawi, che a loro volta non possono essere identificati con Hamas.

Il rapporto con la Sinistra

Un altro elemento che emerge dalle piazze è il rapporto irrisolto tra la Sinistra e Israele, un legame complesso che si incrinò nel 1967, in occasione della Guerra dei Sei Giorni, quando l’Unione Sovietica abbandonò lo Stato ebraico per assumere nello scacchiere internazionale una posizione filo-araba. La spaccatura coinvolse prima la sinistra comunista e poi, a rimorchio, quella socialista, raggiungendo il suo apice in Italia nel 1982, durante l’invasione israeliana del Libano a cui seguirono i massacri di Sabra e Shatila. Allora il clima era incandescente come oggi e, tra imponenti manifestazioni e una violenta campagna di stampa, culminò nell’attentato alla sinagoga di Roma del 9 ottobre, in cui perse la vita un bambino di due anni, Stefano Gaj Taché.

L’antisionismo

Ma la vera novità è il ritorno sulla scena di un termine – l’antisionismo – che per anni era scemato nel discorso pubblico e ora risuona come un grido collettivo. Si tratta di un concetto problematico e dibattuto, che può indicare una critica anche radicale alle politiche dello Stato d’Israele; in questo senso è considerato «una dialettica politica legittima» (Gazi Luzzatto Voghera) e va distinto dall’antisemitismo, anche se alcune sue forme possono sfociare in atteggiamenti antisemiti. Il termine, però, smarrisce la propria legittimità quando viene utilizzato non per problematizzare l’esistenza di uno Stato ebraico – messa in discussione anche da correnti dell’ebraismo ortodosso – quanto per negarne il diritto all’esistenza. È vero, di sionismi ce ne sono tanti e oggi il vecchio sionismo socialista è stato soppiantato da una preoccupante visione religiosa e messianica, ma il significato di questo movimento rimane l’aspirazione del popolo ebraico ad avere una propria patria. Ed è paradossale scendere in piazza per difendere il legittimo diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, mentre lo si nega ad un altro popolo.

Daniele Trematore

Storico e Saggista