A capo dell'impero Vigel, lascia quasi 2 milioni di euro alla badante, la figlia le fa causa
La figlia. «E’ stato manipolato...». Ma per il Tribunale non c’è reato
A capo dell'impero Vigel, il commendator Geninat lascia quasi 2 milioni di euro alla badante che è stata assolta. La figlia. «E’ stato manipolato...». Ma per il Tribunale non c’è reato. Lui era lo storico fondatore dell’azienda di macchine utensili.
A capo dell'impero Vigel, lascia quasi 2 milioni di euro alla badante
Da una parte il padre e la badante-segretaria dall’altra la figlia dello storico imprenditore. E’ il racconto di una burrascosa vicenda familiare ma anche di una sospetta circonvenzione d'incapace e di tanti soldi, con tanto di una spettacolare villa con piscina in Costa Azzurra. Lui è il commendatore Lodovico Geninat, morto nel 2017, a 96 anni, e fondatore dell'impero Vigel, leader nella produzione di macchine utensili per automotive e lei la sua unica figlia, Ettorina, entrata in azienda a 21 anni e poi diventata amministratrice delegata. L'imputata, la badante-segretaria, oggi 65enne, e assolta perché il fatto non sussiste nel processo in appello andato in scena giovedì 6 giugno in tribunale a Torino. Era la badante, prima, e segretaria, poi, del commendatore che avrebbe ricevuto quasi 2 milioni di euro, comprensivi di soldi e di un appartamento, e per questo denunciata dalla figlia Ettorina. Dopo l'assoluzione in primo grado di gennaio del 2023, la parte civile ha impugnato la sentenza ma il parere della corte non è cambiato: assoluzione con formula piena.
Nel 1990 la Vigel a Borgaro
Il padre si occupa dell'azienda fino al 1990, quando ha 72 anni, momento in cui la figlia entra in società. Anche i nipoti e il genero, scomparso nel 2015, lavorano in Vigel. Lodovico Geninat continua a interessarsi dell'azienda anche dopo aver rinunciato a tutte le cariche e, nel 2000, decide insieme alla figlia di trasferire lo stabilimento in una zona industriale di Borgaro, in accordo con l'Amministrazione comunale borgarese. Il sogno del commendatore: una scuola a lui intitolata. La storica palazzina degli uffici Vigel viene ceduta dal commendatore al comune di Borgaro, con l'idea di trasformarla in una scuola tecnica. Ma per motivi burocratici, questo progetto non vedrà mai la luce. Il sogno del commendatore purtroppo non si realizza: il vecchio stabilimento Vigel viene sostituito nel 2015, da un complesso residenziale. Il commendatore, in questo periodo, vive a Torino con la moglie ma nel 2000 si trasferisce a Borgaro, per poter stare ancora vicino all'azienda e gestire in prima persona l'operazione immobiliare.
L'entrata in scena dell'imputata
È qui che entra in scena l'imputata, figlia di una collaboratrice domestica alle dipendenze della famiglia Geninat che dal 2011 inizia a prendersi cura dell'anziana coppia. Per il commendatore la donna diventa una figura di riferimento professionale e umano, gli fa da segretaria, collaboratrice domestica e soprattutto confidente. La porta con sé al lavoro negli ex uffici Vigel, in cui aveva tenuto il suo studio ma anche al mare, nella casa di Villefranche Sur Mer, in Costa Azzurra. Il loro rapporto, che imputata e altri testi negano sia di natura sentimentale, continua fino alla morte del commendatore.
Burrascoso rapporto con la figlia
Le frizioni tra padre e figlia, invece, iniziano nel 2011 per la distribuzione degli utili societari e per le nuove strategie aziendali scelte dalla figlia, in particolare lo sviluppo dell'azienda in India e in Cina inviso dal padre. Pian piano i rapporti si incrinano e il commendatore taglia i rapporti con l'erede e con i nipoti, parla solo con il genero, perché in fondo - emerge nell'istruttoria - lui avrebbe voluto un figlio maschio e non accettava di buon grado il cambio generazionale e quanto esso comportasse. "Raccontava sempre che lui con la quinta elementare, con una mucca donata dal papà aveva costruito tutta questa azienda, aveva comprato un castello a Rivarolo alla figlia e recriminava, recriminava", si legge negli atti.
La denuncia
Quando la figlia scopre le uscite economiche destinate alla badante, decide di denunciarla ma per il giudice il fatto ovvero la circonvenzione d'incapace non sussiste. Il commendatore è ritenuto capace d'intendere e volere (nonostante ci siano pareri discordanti tra il consulente tecnico dell'imputata e quelli della parte civile) e quindi le sue decisioni legittime. Fino all'ultimo, dunque, il commendatore, descritto come “una persona dal temperamento piuttosto forte, che non accettava di buon grado le indicazioni impostegli da altri, tenendo a gestire liberamente e autonomamente la sua quotidianità”, avrebbe deciso cosa fare del suo patrimonio. «L'esito ha confermato la sentenza che era assolutamente corretta ed equilibrata già dal primo grado di giudizio - hanno commentato ai cronisti gli avvocati Domenico Odetti e Francesco Criniti difensore della badante - la mia assistita ha sempre svolto correttamente il suo compito al servizio del commendatore e si è limitata a eseguire le prestazioni per cui era retribuita e non si è mai approfittata del dottore senza rinunciare al legato e sottostare a ricatti».
Ultimo capitolo?
Si riserva di intraprendere ulteriori azioni legali la figlia, rappresentata dall'avvocato Costanza D'Ormea: «Era stata impugnata la sentenza perché si riteneva che nelle condotte fossero effettivamente ravvisabili gli estremi per la circonvenzione d'incapace. C'è un'incapacità del soggetto e soprattutto le disposizioni sono incoerenti con le scelte precedenti. C'erano dei consulenti di parte che attestavano come il commendatore fosse stato incapace di intendere e volere. Per noi non c'è stata un'interpretazione corretta delle emergenze processuali».