La storia dei Levi scappati in Canavese per sfuggire dall’orrore dell’Olocausto
La testimonianza per non dimenticare le vittime della Shoah alla vigilia della Giornata della memoria
La storia dei Levi scappati in Canavese per sfuggire dall’orrore dell’Olocausto
La fuga a Torre
10 novembre 1939. Mussolini aveva già gridato da Trieste che gli ebrei dovevano essere perseguitati, stravolgendo all’improvviso la vita di tante famiglie ebraiche italiane, come quella di Tullio Levi, composta dal padre Marco, dalla madre Virginia, dal fratello Riccardo e dalle nonne Rosa e Adele. Marco, infatti, era già stato licenziato dalla Shell e la famiglia aveva deciso di trovare rifugio a Torre Canavese. In quella piccola comunità, allora ancora unita con il Comune di Bairo, i Levi si erano adattati a una nuova realtà, con Marco che aveva imparato a coltivare la terra. L’orrore della guerra era condiviso con la famiglia Antoniono e, anche se Torino iniziava ad essere bombardata, i Levi erano riusciti a ritrovare una relativa tranquillità.
Dopo l'armistizio
Ma, dopo l’armistizio del 1943 e la conseguente occupazione tedesca, la situazione precipitò. Mentre la famiglia era intenta nelle sue attività quotidiane, il suono inatteso del campanello annunciò l’arrivo dei fascisti: «Anche se avevo solo 4 anni – raccontò Tullio Levi – ricordo ancora quel giorno degli inizi di dicembre in cui vidi comparire davanti al nostro cancello un uomo in uniforme, il maresciallo dei Carabinieri della vicina stazione di Agliè, venuto ad avvisare mio padre che bisognava abbandonare al più presto Torre perché era cominciata la caccia agli ebrei». A quel punto, con l’aiuto della famiglia Antoniono, i Levi si nascosero a Borgiallo e poi nella canonica della chiesa dei Tre Cioché. Ma un delatore avvertì i fascisti del nascondiglio e, di notte, il parroco li fece scappare da Agliè. Sempre con l’aiuto della famiglia torrese i Levi riuscirono a trovare l’ennesimo riparo in una cascina isolata nei boschi a Castellamonte, nella frazione di Muriaglio. L’apparente quiete venne di nuovo scossa con l’insediamento, a Campo, di un comando fascista che li costrinse a tornare a Torre, dove la famiglia avrebbe poi accolto la Liberazione. Nel 2011, per il loro coraggio e la loro umanità, Pietro, Maria e Carlo Antoniono furono riconosciuti «Giusti fra le Nazioni».
La storia di Tullio Levi
Nato a Torino nel 1939 da Marco Levi (chimico) e Virginia Montel (maestra), Tullio Levi (in foto) frequentò i primi mesi di scuola proprio a Torre. Nel gennaio 1946, appena la famiglia riprese possesso della casa di Torino, Levi si iscrisse alla scuola ebraica, iniziando a frequentare, dalle superiori, il Centro giovanile ebraico. Diplomatosi in Ragioneria nel 1956, raccolse l’azienda di vernici del padre – che, dopo la guerra, non aveva più voluto rientrare alla Shell –, prima di dedicarsi all’industria metalmeccanica. Presidente, dal 1981 al 1987 e dal 2005 al 2011, della Comunità ebraica torinese, Levi fu tra i fondatori, nel 1968, del Gruppo di studi ebraici e, nel 1975, della rivista «Ha Keillah», di cui fu l’anima insieme a Guido Fubini e a Giuseppe Tedesco.
L'impegno per la memoria
Impegnato nella trasmissione della memoria della Shoah e dell’antifascismo, Tullio Levi contribuì alla nascita del Centro internazionale di studi Primo Levi e del Museo diffuso della Resistenza. Qualche anno prima di morire, nel 2020, incontrando gli alunni di alcune scuole piemontesi, scrisse: «I ragazzi, nonostante la loro giovane età, dimostrano di aver capito come sia possibile e quanto sia importante, nel momento in cui qualcuno è in difficoltà, non girarsi dall’altra parte, bensì farsi carico di quella responsabilità verso il prossimo di cui ciascuno deve sentirsi portatore; e si sono resi conto di come nel mondo esista il male, ma possa esistere anche il bene se si manifesta quel senso di solidarietà su cui si basa l’umana convivenza».