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Muoiono da soli, nessuno al funerale, sono le vittime del Covid-19. La storia di Antonio Vota

Il figlio Claudio, presidente della Pro loco rivarolese: "Mi hanno negato anche l'ultima carezza a mio padre".

Muoiono da soli, nessuno al funerale, sono le vittime del Covid-19. La storia di Antonio Vota
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Muoiono da soli, nessuno al funerale, sono le vittime del Covid-19. La triste storia del rivarolese Antonio Vota, papà del presidente della locale Pro loco.

Antonio Vota fra le vittime del Covid-19

Morto e tumulato in completa solitudine. Non solo il Coronavirus in maniera cieca e subdola ti colpisce e ti strappa all’affetto della famiglia con cui hai condiviso una vita intera, ma decide anche il modo del commiato. E’ il triste destino toccato anche ad Antonio Vota, rivarolese da sempre, fin dal 1936, quando 83 anni fa (avrebbe compiuto gli anni a settembre) nacque nella città in cui per un’intera esistenza ha vissuto. In realtà, le radici più profonde le aveva radicate all’Argentera, con la moglie Caterina Dezzutto, dove aveva costruito la casa in cui è cresciuto il figlio Claudio Vota (nel riquadro in basso), attuale presidente della Pro Loco di Rivarolo, che ci racconta al telefono (dalla quarantena che per lui è terminata sabato 28 marzo) la lotta (impari) del padre contro il nemico invisibile: il Covid-19.

 Un lutto difficile da elaborare

«La cosa che più ti segna, la ferita più grande che dovremo cercare di rimarginare è il pensiero di quegli interminabili 11 giorni di ricovero ad Ivrea; saperlo lì da solo, in solitudine in quel letto d’ospedale. E poi ci sarà da elaborare il distacco. Avvenuto senza poter dire una preghiera davanti al suo feretro. O portare un fiore sulla sua tomba». Effetto delle misure di contenimento del contagio che non permettono alcun tipo di «contatto». E l’ultimo, di contatto, Antonio Vota con la sua famiglia lo ha avuto il 16 marzo. «Mio padre era in dialisi – racconta Claudio – e per tre volte la settimana andava a Castellamonte per la cura. Quel lunedì, però, aveva un po’ di febbre e difficoltà a respirare. Terminata la dialisi, anziché a casa, è stato portato all’ospedale di Ivrea per radiografia e tampone che risulterà poi positivo. Ed è scattato il ricovero». E, di conseguenza, la quarantena per chi aveva avuto contatti con lui: ovviamente la moglie Caterina, un’intera carriera professionale alla Eaton di Rivarolo prima della pensione, e per il figlio Claudio, sposato e residente a Favria, che aveva visto da poco.

11 giorni di ricovero, sempre lucido

«Lui è sempre stato lucido, aveva sì la canula dell’ossigeno, ma non era intubato. Chiedeva sempre di noi ai medici, temeva che ci fossimo ammalati attraverso di lui. Invece per fortuna stavamo bene, ma rinchiusi nelle quattro mura dell’isolamento, con il magone dell’essere reclusi e non aver potuto far nulla per lui, neanche dargli una carezza o stringergli la mano nel momento dell’addio: e questa è la cosa più drammatica di quanto sta succedendo. E penso a mia madre, che in questi ultimi anni in cui mio padre non stava più molto bene, lo ha sempre accudito e dopo 60 anni di matrimonio tutto è terminato così, senza averlo potuto più vedere. Tenergli la mano. Dargli il giusto funerale».

L'affetto dei rivarolesi

Venerdì (27 marzo), infatti, fuori dal cancello del Cimitero del Capoluogo di Rivarolo c’era Don Marco a benedire la bara di Antonio Vota e a distanza di sicurezza la nuora Daniela, moglie di Claudio Vota. Che aggiunge: «In questi giorni tantissime persone ci hanno telefonato, mandato messaggi e ci hanno dimostrato, in questo momento di isolamento sociale, la loro vicinanza». Segno di quanto Antonio fosse ben voluto in frazione, ma più in generale a Rivarolo. «Coltivava, finché la salute glielo ha permesso, la passione per le bocce e collaborava al nuovo gruppo “argenterese” costituito negli anni Novanta dalla nostra generazione, quella dei figli. Aveva iniziato a lavorare da Vecchia, poi la grande occasione di andare in Fiat a Torino dove lavorò fino alla pensione per poi dedicarsi completamente al suo orto». Nel frattempo 40 anni su e giù con la Canavesana per recarsi nella grande fabbrica.

La grazia ricevuta e quel quadro al santuario di Belmonte...

«Negli anni Cinquanta, mentre prestava servizio militare in Friuli, stette male e andò in coma, venne operato d’urgenza e guarì. Come voto, per la grazia ricevuta, quella volta, portò un quadro al santuario di Belmonte». Questa volta il grande nemico dell’umanità, il Covid-19, però, non gli ha dato la possibilità di un secondo ringraziamento.

L'ultimo saluto

La famiglia ora ha terminato l’isolamento, ma nonostante la libertà ritrovata non ha comunque la possibilità di andare a pregare davanti alla sua tomba: i cimiteri sono chiusi. «Sicuramente quando tutto sarà finito faremo dire una Messa in suo ricordo, alla quale potranno partecipare tutte le persone che avrebbero voluto salutarlo per l’ultima volta, ma che l’emergenza Coronavirus non ci ha consentito dia fare».

Maurizio Vermiglio

Da "Il Canavese" del primo aprile 2020 - CLICCA QUI PER L'EDIZIONE DIGITALE

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