E' di Castellamonte

Nel fango dell'Emilia Romagna a dare un aiuto

Matteo Gallo: «Sono scene a cui non ci si abitua mai, per quante emergenze uno abbia visto nella sua vita».

Nel fango dell'Emilia Romagna a dare un aiuto
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Nel fango dell'Emilia a dare un aiuto. La testimonianza di Matteo Gallo di Castellamonte, delegato delle attività di emergenza per la Croce Rossa Italiana.

Nel fango dell'Emilia a dare un aiuto

«Nessuno dovrebbe vedere mai una cosa del genere». E’ lapidario Matteo Gallo, delegato delle attività di emergenza per la Croce Rossa Italiana di Castellamonte, nel momento in cui inizia a raccontare l’esperienza che ha vissuto a Faenza, una delle città della Romagna più colpite dalla recente alluvione. Classe ‘83, nella Cri da ormai 25 anni, Gallo è visibilmente commosso mentre tenta di tradurre in parole le immagini che affiorano nella sua mente ripensando a quei giorni passati ad aiutare chi in un attimo si è visto privato di tutto.

Scene a cui non ti abitui...

«Sono scene a cui non ci si abitua mai, per quante emergenze uno abbia visto nella sua vita». E in effetti non è la prima alluvione che il tecnico del soccorso si è trovato ad affrontare, anzi, simili emergenze sono proprio il campo in cui ha sviluppato le maggiori competenze (e per affrontare le quali tiene anche dei corsi di formazione): «Quando è arrivata la richiesta di disponibilità dalla Cri regionale ho subito deciso di partire, per mettere in campo le mie capacità - racconta Gallo - Questa volta ho avuto la fortuna di intervenire come team leader per la squadra che è stata creata dalla sala operativa del Piemonte: il mio incarico era quello di coordinare e controllare il lavoro degli altri cinque volontari partiti con me (tutti del Torinese e del Vercellese), cui si sono aggregate le squadre di Faenza».

Il 5 maggio

Ad oggi, spiega Matteo, ci sono circa 300 volontari in campo e 87 mezzi. Ma partiamo dall’inizio, cioè da quella mattina del 5 maggio in cui Gallo e la sua squadra sono arrivati nel centro romagnolo dopo un viaggio di 5-6 ore. «Ciò che ci ha colpito d’impatto sono gli sguardi delle persone persi nel vuoto, ancora incapaci di metabolizzare il fatto di aver perso tutto. Dopo un primo briefing con gli altri responsabili del soccorso abbiamo dato il via alle operazioni per svuotare i locali allagati delle case nell’area che ci era stata assegnata. Un intervento lungo e complesso, perché nella maggior parte dei casi è impossibile entrare direttamente nelle stanze e nelle cantine: bisogna pompare via l’acqua (che non è piovana, è acqua con limo, fango, terra) con le idrovore, e poi buttare giù le porte davanti alle quali nel frattempo si sono ammassati, perché trascinati, tutti gli arredamenti. I quali, ormai irrecuperabili, vengono portati via. Per noi è solo materiale da smaltire ma per i residenti si tratta della propria vita». Così casa per casa, dalle 7 del mattino fino al tramonto, per i primi dieci giorni di soccorso. Senza poter immaginare che una seconda alluvione, peggiore della prima, avrebbe presto vanificato in buona parte tutto questo lavoro.

La seconda alluvione

Tra il 16 e il 17 maggio infatti il fiume Lamone è esondato a destra e a sinistra, uscendo di circa un metro sopra l’argine, allargando e intensificando gli allagamenti nell’area. Difficile immaginare cos’abbiano provato tanto i residenti quanto i volontari in quegli istanti (non a caso, con loro c’era anche una squadra di psicologi): «Grandissima frustrazione, ma ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo ripreso il lavoro quasi da zero». Senza contare tutte le problematiche legate al rapporto con i civili: «Sono tantissimi i disagi da dover gestire in situazioni del genere, dai pasti alle questioni sanitarie. Tutti hanno bisogno di una mano e non è sempre facile far capire le priorità. Noi volontari ci sentivamo persino in colpa perché avevamo il privilegio di poter tornare la sera in albergo, dove potevamo farci una doccia calda e dormire nel pulito». Matteo, che è padre di due figli piccoli, è rientrato in Canavese la scorsa settimana, ma «laggiù c’è ancora tanto da fare - dice - compatibilmente con il lavoro e con la famiglia, ho intenzione di tornare».

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