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Ristoratori in protesta venerdì sera anche in Canavese

Annunciato un ricorso al Tar del Piemonte contro il Dpcm del Governo

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Ristoratori in protesta

Anche in Canavese i ristoratori in protesta venerdì sera, 15 gennaio, per la chiusura forzata delle attività a causa del Covid-19.  Nel video quella dello chef Giorgio Cambursano, titolare dello Scudo di Francia di Agliè: come molti altri ristoratori ha deciso di lasciare le luci e la musica accese nel suo locale. Perché tutti i rappresentanti del settore desiderano poter tornare a lavorare accogliendo i loro clienti.

Le polemiche

Dopo lo stop durante il primo lockdown i locali si sono adeguati alle nuove disposizioni per poter  svolgere il servizio in sicurezza. Ma pochi mesi, neanche il tempo di ripagare le spese degli obbligati investimenti, poi nell'autunno scorso è nuovamente scattata la serrata. Soltanto in zona gialla è possibile accogliere i clienti nel locale, peraltro solo a metà: sì per pranzo, no per la cena. L'asporto non è sufficiente a coprire le spese e molti alla fine hanno scelto di restare chiusi quando il Piemonte è diventato nuovamente zona rossa.

Oltre al danno la beffa

Da domani si torna in zona arancione: morale? Ristoranti nuovamente chiusi, l'unica possibilità resta l'asporto. Tradotto: altri mancati introiti che gli aiuti promessi dallo Stato non bastano nemmeno a coprire le spese statali.

Il comunicato stampa

Dai rappresentanti di categoria  proprio questa mattina è arrivato alla redazione questo comunicato stampa che contesta l'orario imposto dalle disposizioni antiCovid annunciando un ricorso al Tar:
"Sono oltre 20 milioni gli italiani, di ogni fascia di età (giovani e meno giovani) che, quotidianamente, vorrebbero continuare ad usufruire dei settori della ristorazione (bar e ristoranti) con possibilità di sedersi ai tavoli, certo in massima sicurezza, anche per consumare un semplice caffè ed invece, con il nuovo Dpcm, saranno costretti al solo asporto, con tutto ciò che ne consegue. Sulla ristorazione abbiamo numeri alquanto considerevoli: oltre 20 mila piccole  imprese, 150.000 dipendenti e un fatturato complessivo (per il 2019) di circa 35 miliardi di euro. Davanti alla drammatica e drastica decisione, deliberata dal Consiglio dei Ministri, di consentire solo l'asporto di bevande e cibi a qualsiasi ora del giorno e non più la consumazione in loco almeno fino alle 18, molti gestori del settore hanno deciso, tramite l’Associazione Giustitalia, di impugnare davanti ai Giudici Amministrativi dei propri Tribunali Amministrativi Regionali (competenti territorialmente), il Decreto ministeriale che sembra aver dimenticato completamente questo settore.
I gestori sono consapevoli che questo momento storico è alquanto particolare, ma prima o poi la vita riprenderà. E allora la gente si renderà conto che un terzo dei locali ha chiuso, forse per sempre, perché non ci sono aiuti dallo Stato. Chi esercita professionalmente attività imprenditoriale di ristorazione sono mesi che non ha entrate, a parte una piccolissima parentesi in due mesi estivi, e deve (comunque) pagare gli affitti, i dipendenti, e ci sono famiglie che vivono su queste attività. E poi ci sono anche decine di migliaia di lavoratori precari che vivono di stipendi mensili ora azzerati: camerieri, musicisti, cassieri, ecc.  Tramite più ricorsi ai Tribunali Amministrativi Regionali, patrocinati dagli Avvocati dell’Associazione Giustitalia, gli esercenti del settore chiedono alla Magistratura amministrativa l’annullamento dell'Ordinanza nella parte in cui impone il divieto di consumazione ai tavoli almeno fino alle ore 18. Oltretutto – e non è cosa da poco – prevedere una riapertura molto lontana nel tempo e la conseguente privazione di luoghi che possono essere messi in sicurezza e ben controllati dalle F.O. potrebbe comportare il rischio concreto di “aggregazioni selvagge ed abusive” (soprattutto da parte dei ragazzi) in luoghi privati improvvisati con i cibi di asporto e le bevande per aperitivi incontrollabili.
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