La rabbia dei commercianti per le chiusure
I dubbi e le paure per i titolari delle attività costrette a tenere le saracinesche abbassate.
La rabbia dei commercianti
La rabbia dei commercianti
Un’altra settimana difficile trascorsa per chi, con la vendita dei prodotti legati al mondo dell’enogastronomia, deve tirarci fuori uno stipendio e garantire una sicurezza economica a se stesso, alla propria famiglia, ma anche a quelle dei dipendenti. Categoria (non certo l’unica) ancora una volta bistrattata da quelle che sono le scelte del Governo in tema di sicurezza, vista la presenza del Covid e numeri sempre più impressionanti riferiti ai contagi. Proprio questo «accanirsi» è tema di discussione, di rabbia e di amarezza per chi da anni fa tale mestiere, ma anche per coloro che da poco hanno intrapreso questa strada. Dopo la scelta del «coprifuoco» e soprattutto la chiusura di bar e ristoranti alle 18 in molti si sono «riadattati».
La testimonianza
Un po’ come ha fatto Fabrizio Varone, titolare del «Caffè della Posta» di Rivarolo, che nuovamente ha deciso di puntare sull’enologia. Ciò, però, non fa venir meno un malessere che stanno provando tutti quelli che sono di fatto sulla «stessa barca». «La vendita di vino attraverso il “delivery” ha dato dei discreti riscontri nel periodo del precedente lockdown - racconta Fabrizio - Certo, però, che questo è un “palliativo”, dato che in questi mesi abbiamo lavorato tra mille difficoltà, noi dei bar come i ristoratori, i quali hanno visto i loro numeri ridotti per forza di cose».
Paghiamo sempre noi
Varone ci tiene a precisare che «Non sono certo un “negazionista” e sono consapevole di ciò che sta accendo intorno a me. Però non capisco certe scelte da parte di un Governo che ha finito per prendersela con tutta una serie di attività commerciali». E rincara la dose, puntando il dito ancora su delle situazioni che considera incomprensibili: «Si è chiesto alla nostra categoria ed a quella dei ristoranti di seguire determinanti parametri, che possono anche risultare giusti, ma i quali hanno costretto ad ulteriori costi e dei sacrifici. Poi, basta guardarsi intorno e vedere come è gestito il servizio del trasporto pubblico, con gente schiacciata su pullman e tram. Uno addosso all’altro e molti pure senza le opportune protezioni».
Rischiamo di non ripartire
Per Varone c’erano tempi e modi per prepararsi a quella che era una «seconda ondata» dai più prevista: «Invece si è pensato a investire i soldi in bonus che risultano sinceramente evitabili, mentre vediamo ospedali sempre più in difficoltà e Pronto soccorso che vengono addirittura chiusi». Il futuro non appare dei più rosei: «Spero di sbagliarmi, me lo auguro di cuore, ma se si proseguirà di questo passo, con serrate continue od addirittura un nuovo lockdown, alla riapertura del Paese molti, tra i miei colleghi e non solo, rischiano davvero di non farcela a ripartire. Chi ha già pagato pesantemente la prima fase con questo secondo momento di stop potrebbe non tirare più su la serranda. Questa cosa chi ci governa dovrebbe capirla ed intervenire in modo da garantire un “paracadute” vero e proprio. Non dei rimborsi che spesso sono insufficienti anche solo per pagare quelle tasse che, invece, dovrebbero essere cancellate o ridimensionate, a seconda di quanto uno lavora».