Nuovi inizi: il lavoro come strumento di inclusione per le persone detenute
Il 62% di chi sconta una condanna nei penitenziari italiani è già stato in carcere, ma la recidiva si riduce al 2% fra coloro che hanno intrapreso un percorso lavorativo.

Il lavoro rappresenta il principale strumento attraverso il quale è possibile dare concretezza a un processo di reinserimento sociale delle persone detenute.
Ad attestarlo in modo netto sono i dati relativi alla popolazione carceraria nazionale: degli oltre 60 mila individui che stanno scontando una condanna nei penitenziari del nostro Paese, il 62% ha già subito almeno una carcerazione precedente, ma il tasso di recidiva si riduce al 2% fra coloro che hanno avuto accesso a un percorso lavorativo strutturato. Eppure, soltanto un terzo del totale dei detenuti risulta attualmente impiegato in attività professionali, perlopiù alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, e di questi un esiguo 1% è occupato nel contesto di un’impresa privata.
Numeri che evidenziano il ruolo che il mondo imprenditoriale può e deve giocare al fianco del sistema carcerario italiano nell’affrontare la significativa sfida rappresentata dallo sviluppo di programmi riabilitativi in grado di garantire l’equilibrio tra la sicurezza nell’esecuzione penale e la rieducazione degli individui soggetti a restrizioni della libertà personale.

L'impegno dei giovani imprenditori
L’argomento vede da mesi il Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriali Torino impegnato in prima linea nello sviluppo di un progetto di inserimento lavorativo per le persone detenute, realizzato insieme al Fondo Alberto e Angelica Musy e alla Fondazione Ufficio Pio. Iniziativa che oggi vive il suo momento pubblico al Centro Congressi dell’Unione Industriali con l’appuntamento "Nuovi inizi: il lavoro come strumento di inclusione per le persone detenute”, organizzato dai medesimi partner con The European House - Ambrosetti, in collaborazione con la Fondazione Compagnia di San Paolo e la Città di Torino e con il contributo della Camera di commercio di Torino.

Un momento di analisi e confronto - aperto dall’intervento di Francesco Paolo Sisto, viceministro del Ministero della Giustizia - che riunisce i rappresentanti di quelle realtà del mondo industriale, delle istituzioni e del terzo settore direttamente impegnate sul campo, nell’intento di sensibilizzare il pubblico sull’importanza dell’avviamento al lavoro, nonché della relativa formazione professionale e universitaria, quale modello virtuoso attraverso cui offrire un'opportunità concreta e dignitosa a chi, durante il percorso di pena, ha scelto di rimettersi in gioco e investire nel proprio futuro.
Azioni concrete finalizzate al reinserimento sociale, raccontate e approfondite nell’occasione anche attraverso l’esperienza delle aziende che hanno scelto di aprire le proprie porte alle persone detenute, facendo propri quei principi della responsabilità sociale dell’impresa al centro del saluto introduttivo del presidente dell’Unione Industriali Torino, Marco Gay.
“L’iniziativa promossa dal Gruppo Giovani Imprenditori e momenti come quello odierno - sottolinea Gay - esprimono in modo concreto una parte della nostra visione CSR, in virtù della quale le aziende possono essere motore di un cambiamento positivo e interpreti di processi in grado di apportare benefici all'intera collettività. La responsabilità di essere attori sociali per la crescita del Paese, non soltanto in termini economici, si deve tradurre nella capacità di promuovere comportamenti virtuosi, perseguire principi di equità, contrastare le discriminazioni. Significa essere comunità e investire sul nostro futuro, creando un valore condiviso e duraturo”.
Un principio alla base dell’impegno profuso dal Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriali Torino, spiega la presidente Barbara Graffino: “Per noi giovani imprenditori l’impegno sociale è prioritario. Per questo motivo abbiamo scelto di portare avanti il progetto di reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, unendo le forze con il Fondo Musy e l’Ufficio Pio, per offrire insieme una seconda possibilità a chi ha sbagliato e desidera ora rimettersi in gioco. Un impegno che trova un riscontro evidente nei numeri sulle recidive: il lavoro è il principale veicolo di riscatto per queste persone ed è motivo di grande soddisfazione che siano le nostre aziende a fornirgli l’occasione di rifarsi una vita”.
Determinante, in tale contesto, il supporto operativo fornito dal Fondo Alberto e Angelica Musy, come racconta la fondatrice Angelica D’Auvare.
Il Fondo Musy
Il Fondo Musy, da dieci anni al servizio delle persone detenute intenzionate a cogliere una nuova opportunità che ne qualifichi il rientro nella società, propone oggi un’alleanza innovativa con il territorio, da Fondazione Ufficio Pio al Gruppo Giovani Imprenditori, per proporre sempre maggiori opportunità di lavoro a quanti le vogliano cogliere. Il nostro sentimento è quello di dare voce a tutte le vittime e accompagnare il difficile percorso dell’essere umano.
Un’attività condotta in stretta sinergia con la Fondazione Ufficio Pio, che si dedica alla costruzione di un avvenire per le persone in difficoltà, operando in qualità di ente strumentale della Fondazione Compagnia di San Paolo, il cui segretario generale, Alberto Anfossi, ne rimarca la sensibilità al problema:
“La Fondazione Compagnia di San Paolo, da sempre, riserva un particolare impegno nella promozione di percorsi finalizzati all’acquisizione di competenze propedeutiche ed abilitanti per un duraturo inserimento socio-lavorativo delle persone detenute nella comunità, nella consapevolezza che le alleanze strategiche pubblico-private concorrano ad aumentare l’efficacia degli interventi”.
Il lavoro in carcere genera un impatto positivo su tre livelli: per il detenuto che conquista al contempo qualificazione professionale e dignità personale, per la collettività con la riduzione della recidiva e dei costi sociali e per le imprese che possono accedere a servizi di qualità e ottenere vantaggi fiscali. Eppure, i dati raccolti dall’Osservatorio TEHA Club sulle partnership pubblico- private nelle carceri tratteggiano però uno scenario generale che richiede uno sforzo importante per superare gli ostacoli che oggi condizionano l’attuazione di tali percorsi. Secondo Danny Winteler, presidente esecutivo di TEHA Group, “tra le cause che riducono le possibilità che hanno
le persone in carcere di lavorare o svolgere attività formative c’è il tasso medio di affollamento
delle strutture, che in Italia è del 119,3%, tra i più alti dell'Unione Europea. Nonostante l’indice di affollamento in Piemonte (117,9%) sia inferiore a quello nazionale, vi sono situazioni limite: è il caso del carcere di Torino, dove si tocca un sovraffollamento che porta l’indice al 132%, mentre nel carcere di Ivrea si registra un tasso del 138%”.
All’opera di supporto nelle politiche di reinserimento partecipa inoltre attivamente il CNEL, presente al tavolo dell’evento con il consigliere Emilio Minunzio, che presiede il Segretariato permanente per l’inclusione economica, sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale. Un soggetto costituito il 31 luglio 2024 con l’obiettivo di promuovere la cooperazione tra le istituzioni e coinvolgere le parti sociali, economiche e del Terzo settore, per costruire un sistema integrato di interventi e servizi funzionale al reinserimento sociale e lavorativo delle persone detenute. In questo contesto, il CNEL ha realizzato, in collaborazione con TEHA Group, il Paper "Recidiva zero. Istruzione, formazione e lavoro in carcere".