La storia

«Ti ricordi i bei tempi delle SS!?». La storia all'Olivetti durante l'Olocausto

Durante le persecuzioni antiebraiche Adriano Olivetti fu costretto a rifugiarsi in Svizzera, mentre il padre Camillo si nascose a Pollone, dove morì

«Ti ricordi i bei tempi delle SS!?». La storia all'Olivetti durante l'Olocausto
Pubblicato:

«Ti ricordi i bei tempi delle SS!?». La storia all'Olivetti durante l'Olocausto

«L’Olivetti è un covo di ebrei!»

«L’Olivetti è un covo di ebrei!». Le autorità fasciste non avevano tutti i torti, perché l’azienda fondata nel 1908 da Camillo Olivetti, noto esponente della borghesia ebraica, era già stata da tempo posta sotto i riflettori se non, inizialmente, per l’alta presenza di dipendenti di origine ebraica, certamente per il suo persistente atteggiamento antifascista in continuità con le simpatie socialiste dell’ingegnere eporediese. Nel 1938, l’anno in cui il fascismo approvò – su decisione di Mussolini – la normativa contro la minoranza ebraica italiana, la ditta era passata nelle mani del figlio Adriano Olivetti, nelle vesti sia presidente che di amministratore delegato.

La presenza ebraica

L'azienda annoverava tra i suoi quadri molti ebrei in ruoli dirigenziali, come Giovanni Enriques, direttore dell’Ufficio Esteri; Gino Levi, direttore tecnico; Riccardo Levi, capo dell’Ufficio Progetti; Salvatore Luria, direttore della filiale di Venezia; Gino Modigliani, direttore del reparto fonderia; Arrigo Olivetti, direttore commerciale per l’Italia; Enzo Treves, vicedirettore della filiale di Torino; Ignazio Weiss, direttore del reparto macchine contabili.

La retrocessione

Quando i dirigenti ebrei dell’azienda furono ufficialmente retrocessi a impiegati, nel dicembre 1938 il prefetto di Aosta Angiolo D’Eufemia comunicava finalmente al Ministero dell’Interno che «l’influenza dell’elemento ebraico nella organizzazione finanziaria ed amministrativa della ditta Olivetti poteva considerarsi pel momento del tutto eliminata”, ripetendo qualche tempo dopo al Ministero dell’Aeronautica che «l’Olivetti era da considerarsi ariana». In realtà, da quanto sappiamo, l’azienda continuò ad operare nello stesso modo di prima, sotto la direzione di Olivetti prima e, dopo l’8 settembre 1943, sotto quella di due alti dirigenti dal cognome chiaramente ebraico.

Gino Levi... Martinoli

Nel 1939 Gino Levi chiese il cambiamento di cognome in «Martinoli”, che ottenne due anni dopo, ma – dichiarò anni più tardi – «in quanto figlio di padre di razza ebraica e di madre cattolica le leggi razziali italiane mi esentavano da misure restrittive o persecutorie. Ero considerato "ariano", di razza italiana a tutti gli effetti». Anche Olivetti, figlio di padre ebreo e di madre valdese, viveva la difficile condizione del nato da matrimonio misto. Radiato dall’Ordine dei giornalisti, dopo l’armistizio – mentre il padre Camillo, nascostosi a Pollone, moriva nel 1943 nell’ospedale di Biella – fu costretto a riparare in Svizzera.

Giovanni Enriques

Più particolare fu la vicenda di Giovanni Enriques, il quale – cito Martinoli – «era ebreo al cento per cento, quindi molto esposto. Con straordinaria abilità egli però riuscì a produrre dei falsi attestati del Ministero dell’Interno, con i quali veniva dichiarato ariano puro. Documenti che Enriques sbandierava clamorosamente alle autorità locali e provinciali convincendole, talché finì col sollevare meno sospetti ed avere meno grane di quante ne dovevano toccare a me». Enriques, spostatosi temporaneamente a Parigi, nel 1943 era infatti riuscito, grazie al padre Federigo, illustre matematico, a ottenere una parziale esenzione dalla persecuzione nota come “discriminazione».

«Ti ricordi i bei tempi delle SS!?»

L’ingegnere ebreo, evitando così la fuga, riuscì a salvare l’azienda, che si trovò a gestire – fino al ritorno di Olivetti nel maggio 1945 – con Giuseppe Pero e Gino Martinoli, il quale avrebbe rievocato quel momento, nonostante tutto, come uno dei «periodi più belli della nostra vita»: «Ancora ricordo gli sforzi per procurare i cibi alla mensa operaia, le acrobazie per recuperare dipendenti arrestati, il modo con cui abbiamo supplito alla mancanza di denaro contante per fare le paghe. Paura, paura tanta fino alla fine. Eppure con Giovanni Enriques, ritrovandoci spesso in tempi più tranquilli, abbiamo esclamato: "Ti ricordi i bei tempi delle SS!?"».

Commenti
Lascia il tuo pensiero

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Seguici sui nostri canali