Don Giuseppe Sciavilla

"La nostra salvezza nasce da una tragedia" lettera del segretario del vescovo ai fedeli

"La nostra salvezza nasce da una tragedia" lettera del segretario del vescovo ai fedeli
Pubblicato:

La Pasqua si avvicina e sarà una Pasqua diversa. Non si celebreranno messe "dal vivo", non si festeggerà insieme a parenti e amici ma si rimarrà in casa, la messa verrà celebrata a porte chiuse e i fedeli potranno assistervi da uno schermo. In un periodo difficile come quello che stiamo vivendo Don Giuseppe Sciavilla, segretario del Vescovo di Ivrea Monsignor Edoardo Cerrato, ha preso carta e penna per scrivere una lunga lettera ai fedeli fatta di riflessioni, speranza e preghiera.

"La nostra salvezza nasce da una tragedia" lettera del segretario del vescovo ai fedeli

Carissimi,
ogni anno in questa serata ricca di phatos religioso come poche altre che tocca il cuore e lo fa vibrare di emozioni contrastanti. Si vive apparentemente una “tragedia” ma che poi diventa un dramma “aperto” a lieto fine.
Ogni anno ci incontravamo a questo appuntamento di fede e insieme di folklore della Sacra Rappresentazione della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo e che voi, carissimi attori e attrici dell’Associazione “Il Diamante” portate a presenza con scienza e zelo il Mistero della Croce e Morte di Nostro Signore, guidati dal grande protagonista oltre che regista Davide Mindo.
Questa “tregedia scenica” si concludeva con la Celebrazione Eucaristica in Cattedrale e in quella circostanza condividevo con voi una breve riflessione. Purtroppo, quest’anno, a causa di questa dolorosa situazione che stiamo vivendo (Covid-19), non è possibile incontrarci personalmente, permettetemi di lasciarvi un pensiero su questo grande Mistero che da duemila anni ci coinvolge e ci interpella.
La Chiesa con questa celebrazione entra nel Mistero, cioè nel dramma della Passione, per riviverlo e così sperimentare il rinnovamento pasquale. Quel vostro incedere salendo sul colle della Cattedrale era dunque il segno di un cammino spirituale che voi compite con la Chiesa, e che sperimentate anche in questo momento di prova e di incertezza. Si tratta di entrare nel Mistero del Golgota. La Chiesa ci propone, nella Domenica delle Palme, il commovente racconto della cosiddetta Passio, quest’anno nella versione di Matteo. Ci sono tre temi-chiave che si presentano come tre finestre aperte sul grande sacrificio: dolore-peccato-amore.
Anzitutto un dolore sconfinato. La Croce prima che dare la morte, mira a estrarre da un essere umano tutta la sofferenza di cui è capace. Sul piano morale poi è la suprema umiliazione: il più abietto supplizio degli schiavi, afferma Cicerone. Segno di maledizione, secondo la Bibbia. Segno di abbandono, dice il Nuovo Testamento. Gesù muore con questo grido sulle labbra: “Dio mio, Dio mio, perché mia hai abbandonato?”, ci riferisce l’evangelista Matteo. Eppure anche l’agonia e la Croce sono solo il segno di un abisso di sofferenza che sconfina con l’infinito perché è Dio stesso che soffre nella carne umana.
Talvolta ci si chiede il perché di tanto dolore, c’è una sola risposta, quella data da Isaia: “E’ stato trafitto a causa delle nostre colpe”. C’è dunque una perfetta equazione tra Croce e Peccato. Il contenuto di questo Mistero di dolore sono le mie colpe: i tradimenti, le vigliaccherie, le quotidiane indolenze. Penso alla nostra società e alla nostra cultura spesso frammentate, le quali non sanno più fare sintesi e unità. Dove non si ha più il senso del peccato perché non sia ha più il senso di Dio. Noi vogliamo spesso un Dio lontano dalla nostra esistenza eppure il nostro è un Dio vicino, affermava il grande Pontefice Benedetto XVI. Un Dio che fa di tutto per incontrarsi con l’uomo e per incrociare il suo progetto con quello dell’uomo. A questo proposito ritornano le parole drammatiche e passionali del grande Pontefice San Paolo VI, inerenti al significato intimo e profondo sul Mistero della Redenzione, dove si scorge una vera e propria Teologia della Croce. Così scriveva:
“La Croce ha due grandi ascisse, le due grandi parallele, le grandi linee costituzionali dei destini umani. C’è una legge di giustizia che dalle profondità di Dio si precipita su te. In Cristo Vittima, c’è una condanna che dagli abissi del male ti obbliga a morire. Le due leggi si incrociano e invece che annullarsi l’una con l’altra, cospirano a precipitarsi sopra di te e a fare di te un Agnello immolato per i peccati del mondo”. La Croce è segno di contraddizione: è l’opposizione della mia volontà a quella di Dio che l’ha creata. Finchè ci sarà al mondo una volontà umana che si oppone a quella divina, la Croce sarà una realtà attuale. In questo senso il grande filosofo Pascal affermava, che: Gesù continua la sua agonia fino alla fine del mondo. La Croce è l’altare del mondo.
E tuttavia l’ultima definitiva spiegazione della Croce è l’amore. “E Tu Cristo crocifisso, hai le braccia aperte perché non soltanto la giustizia e il peccato si incontrano sulla Croce, ma l’amore”, affermava lo stesso Pontefice. Un amore che si sacrifica e si immola. Soffrire e morire toccava a noi, ma Cristo Agnello immolato ha preso su di sé la nostra condizione umana, si è fatto peccato dai nostri peccati. Ma proprio da quella “tragedia” avvenuta nella Palestina di duemila anni fa è nato il Mistero ineffabile della nostra salvezza. Quella che sembrava una definitiva sconfitta, si è risolta in un Trionfo di vita. Nel corpo di Gesù dilaniato sulla Croce, la maledizione è distrutta, siamo invasi dalla vita del Risorto, riconciliati tra noi e il Padre, trasformati a immagine del Cristo glorioso. Nel cuore struggente di Cristo avveniva quel contrasto tra luce e tenebre; e proprio da quel cuore è sgorgata la Salvezza espressa dall’Acqua viva e dal Sangue della Nuova ed Eterna Alleanza, simboli dei sacramenti della Chiesa. Attraverso di essi la Chiesa da duemila anni nel giorno di Domenica Dies Dominica, il giorno del Signore, l’Anastàsimos hemèra (giorno della Resurrezione), Pasqua della Settimana, come dicevano i Padri della Chiesa, rende presente il Corpo e il Sangue del Figlio unigenito. Ma tutto questo è comprensibile solo se si attraversa la sofferenza con Lui. Lo esprimeva bene nel suo film ne Il Vangelo secondo Matteo (1964) anche il grande regista, non credente, Pier Paolo Pasolini. Il buio della morte di Cristo sulla Croce, rispecchiata nella chiusura dell’obiettivo cinematografico, diventa attraverso di essa, apertura alla Resurrezione. Scriveva Pasolini: “E’ necessario morire per risorgere”. Bisogna amare, anche attraverso i nostri limiti, con lo stesso amore oblativo con cui Cristo ci ha amati e ci ama.
Carissimi, la Settimana Santa che ci apprestiamo a vivere è tutta orientata verso la Pasqua e sa da un lato la Croce viene impiantata nel nostro cuore, dall’altro la Risurrezione di Gesù deve essere per noi la fonte della nostra Speranza.
Di gran cuore Vi benedico!
Don Giuseppe Sciavilla

Seguici sui nostri canali