La passione del mathiese Mauro Tidor, per hobby produttore artigianale di carta
L’ex dipendente «Ahlstrom» si racconta
La passione del mathiese Mauro Tidor, per hobby produttore artigianale di carta. L’ex dipendente «Ahlstrom» si racconta.
La passione del mathiese Mauro Tidor
Nel paese dei sediai si coltivano anche altri tipi di passioni. Questo è il caso di Mauro Tidor, ex dipendente della cartiera Ahlstrom di Mathi. Parallelamente alla sua professione ha studiato per decenni i metodi della produzione della carta in modo artigianale. Durante il torneo della Città Medievali a metà giugno a Cirié e il mercatino della Madonna del Carmine a inizio luglio a Grosso ha allestito un laboratorio mobile sotto la pergola del municipio.
L'intervista
Com'è nata questa particolare passione?
«L'ho coltivata sin da bambino, ascoltando i racconti degli operai della cartiera lavoravano e quelli in pensione. Dopo tre anni di praticantato come falegname, sono stato assunto anch’io alla ex Bosso Carte Speciali di Mathi, oggi gruppo Ahlstrom. La carta è sempre stata la passione della mia vita».
Quali sono stati i primi passi seguiti per attivare quest'attività?
«Prima di tutto ho provato a cucire i telai con vergelle di rame, come nel Medioevo, realizzando filigrane in chiaro. Ho costruito un mulino Olandese per raffinare la cellulosa e rendere la carta più resistente. Ho fatto innumerevoli prove per collare la carta con colle sintetiche, artificiali e di carniccio. Quindi ho individuato le tipologie di feltri di lana che si confacevano alla produzione a mano della carta».
Qual è la differenza tra la carta industriale e quella a mano?
«Le forze in gioco sono le stesse. L’acqua per le varie fasi di produzione fino alla formazione del foglio è utile e insostituibile. Tuttavia diventa anche un problema di costi e di tempo perché dev'essere eliminata fino al 7 – 8 % a foglio asciutto».
Quali sono le fasi per la produzione della carta artigianale?
«Nel mio laboratorio si parte dall’immissione della cellulosa dispersa in acqua nel Mulino Olandese. L’impasto si raffina avvicinando il rotore del mulino munito di lame allo statore. Le lame spellano la superficie delle singole fibre in modo che s'aggrappino le une alle altre quando si formerà il foglio nel tino. A raffinazione terminata, in separata sede all’impasto, viene aggiunta la colla. Una parte dell’impasto è disperso nell’acqua del tino tenuta in movimento. Si prende il setaccio e vi si pone sopra il cascio. Questa è una cornice che serve sia a determinare la dimensione del foglio sia l’acqua debordi dal setaccio rendendo impossibile la formazione del foglio. Quindi setaccio e cascio s' immergono nell’impasto diluito del tino, sollevandoli con il quantitativo voluto d'impasto. Dopodiché è necessario qualche colpetto al setaccio nei due sensi per spianare l’impasto e intrecciare le fibre. L’acqua scola attraverso le vergelle del setaccio e il foglio prende forma sulla parte superiore. Si toglie ora il cascio, s'inclina ancora il setaccio per far scolare la maggior parte dell’acqua. Si poggia il setaccio sul feltro di lana posto sul gobbo o pancaccio e con una leggera pressione avviene il distacco del foglio che rimane aderente al feltro per effetto della capillarità. I fogli formati con i rispettivi feltri vengono poi pressati e posti poi ad asciugare».
Cosa si rendeva la carta utilizzabile?
«Ad essicazione ultimata i fogli venivano collati immergendoli in una soluzione di carniccio e poi stesi sulle corde. Ultimato l’asciugamento, i fogli venivano pressati sotto ad un pestello con testata in cuoio arrotondato per toglierne le asperità. In ultima battuta c’era l’operazione di cialandratura. Si passava a mano un disco liscio di pietra, pesante, con manico centrale in senso rotatorio, in modo da lisciare la superficie del foglio e facilitare la scrittura».