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L’eco di Villarbasse risuona ancora, i tragici e oscuri eventi del 20 novembre 1945 a Leini raccontati sulla Rai da Paolo Mieli

Una lunga indagine portò alla cattura dei responsabili, che furono gli ultimi condannati a morte in Italia

L’eco di Villarbasse risuona ancora, i tragici e oscuri eventi del 20 novembre 1945 a Leini raccontati sulla Rai da Paolo Mieli
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L’eco di Villarbasse risuona ancora, i tragici e oscuri eventi del 20 novembre 1945 a Leini raccontati sulla Rai da Paolo Mieli.

L’eco di Villarbasse risuona ancora

C’è un tragico evento che riemerge come un fantasma dalla bruma di 78 anni fa e che riporta Leini al centro di una vicenda di cronaca nera che ha fatto e che continua a far discutere. A rievocarlo dal freddo abbraccio della notte del tempo è stato il giornalista e storico Paolo Mieli nella trasmissione da lui condotta tra Passato & Presente su Rai 3. Dagli studi di Roma ha ripercorso una delle stragi più terribili di quegli anni. Un episodio che a Leini è stato tramandato oralmente di padre in figlio ma che è rimasto ai margini della storia cittadina.

L'ultima condanna a morte

Eppure anche Leini rimarrà connessa in modo inestricabile ad uno degli eventi più efferati e sinistri dell'immediato dopoguerra italiano e che vedrà come epilogo l’ultima condanna a morte eseguita in Italia (ricordata con una targa al Museo Criminologico di Roma, nella quale si ricorda l’esecuzione eseguita a Torino il 4 marzo 1947 alle 7,41).

20 novembre 1945

La sanguinosa vicenda ha avvio la notte del 20 novembre 1945, in un grande cascinale a Villarbasse, tra le colline intorno a Torino. Nell’azienda agricola “Simonetto”, gestita dall’avvocato Massimo Gianoli ci sono dieci persone e un bambino di due anni. Tra questi ci sono due leinicesi di origine: il mezzadro Antonio Ferrero, la moglie Anna Varetto e il genero Renato Morra. La serata è allegra. Si cena e si festeggia la nascita della figlia di Antonio Ferrero. Anche se sono da poco passate le 19,30, la nebbia è bassa e densa. Ma le tenebre stanno per calare per sempre su quel cascinale illuminato. Casolare che sta per essere assaltato da quattro ombre che si avvicinano con l’intento di depredare di ogni bene proprietario e presenti. Nel freddo abbraccio della notte, l'oscurità si distende come un mantello silenzioso a coprire ogni voce. La mattina successiva il cascinale è deserto. Tutti quanti sono sono improvvisamente scomparsi, come inghiottiti dalla nebbia. Non c’è più nessuno. Sul posto arrivano carabinieri, polizia militare americana e i vicini. Nessuno sa nulla. Nessuno ha visto nulla. I riflettori delle auto dei militi creano fasce di luce tagliente, fendendo la nebbia in cerca di indizi nascosti. L'odore acre del mistero aleggia nell'aria. Nessun indizio. Nulla di nulla se non un capo di abbigliamento abbandonato tra i vitigni con su scritto Caltanissetta. La caccia ai colpevoli è lunga e tortuosa, piena di colpi di scena e arresti ingiustificati. Ma, alla fine, le forze dell'ordine guidate dal tenente Armando Losco riescono a risalire all'identità dei quattro criminali. Dagli interrogatori emerge cosa accadde quella notte segnata da un atroce crimine, una strage efferata che avrebbe scosso l'Italia e segnato una svolta nella storia del diritto penale. In una gelida serata autunnale, i quattro uomini misteriosi fecero irruzione nella cascina per rapinarla. Il loro obiettivo era l'avvocato Massimo Gianoli, un uomo di sessantacinque anni, noto per essere stato un dirigente dell'Agip Piemonte fino al 1940. Le vittime, dieci in tutto, vennero sequestrate, legate e condotte nella cantina della cascina. Là, in una scena degna dei peggiori incubi, furono brutalmente colpite con bastoni e gettate, ancora agonizzanti, in una cisterna destinata alla raccolta dell'acqua piovana. Ma la storia prende una svolta ancora più oscura. Una delle donne sequestrate riconobbe uno degli aggressori, uno degli uomini che, fino a pochi giorni prima, aveva lavorato con loro nella cascina come garzone. Questo riconoscimento improvviso fece cadere la maschera dei criminali, costringendoli a prendere una decisione drammatica: uccidere tutti i possibili testimoni, per cancellare ogni traccia del loro crimine. A quella ferocia brutale fu graziato solo il bimbo di 2 anni. I malviventi furono condannati a morte, su richiesta dell’allora Pubblico Ministero e poi Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, e fucilati a Basse di Stura. Le vittime leinicesi di quella feroce barbaria Antonio Ferrero, la moglie Anna Varetto e il genero Renato Morra riposano nel cimitero di Leini, nella tomba di famiglia.

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