Nel ventre della discarica di Vespia
Reportage. «Non credete che sia gestita a regola d’arte? Entrate e guardate coi vostri occhi».
Nel ventre della discarica di Vespia a Castellamonte, reportage all'interno del sito dei rifiuti nel Canavese.
Nel ventre della discarica
«Non credete che la discarica sia gestita a regola d’arte? Entrate e guardate coi vostri occhi». Sembra un po’ questo lo spirito alla base dell’«open day» che si è svolto la scorsa settimana alla discarica di Vespia, o meglio «open hour» nella forma di una visita guidata dell’impianto al termine di un convegno organizzato dal gruppo Dimensione Ambiente (di cui fa parte Agrigarden, che amministra Vespia dal 2018) presso la Casa della Musica di Muriaglio e dedicato al tema dei siti orfani e della gestione delle discariche abbandonate.
I critici non c'erano
L’intento dell’iniziativa è esplicitato in un commento amareggiato dell’Amministratore unico di Agrigarden Francesco Capone: «Mi dispiace che chi ha mosso critiche alla nostra gestione non abbia voluto partecipare alla visita - dice, all’inizio del percorso -. Dimostra che ci sono posizioni preconcette e ideologiche, che mancano di pragmatismo, con le quali diventa impossibile dialogare». Non è un mistero, infatti, che la discarica di Vespia sia stata in passato (e anche di recente, per la verità, con accuse di scarichi non corretti di percolato nel torrente Malesina: accuse smentite dall’azienda) oggetto di aspri polemiche e abbia avuto una storia travagliata e controversa.
Era il 1994
L’impianto ai piedi di Campo e Muriaglio nasce nel 1994 come discarica per rifiuti urbani; oggi, invece, vi vengono conferiti rifiuti speciali (che in Italia rappresentano una quantità pari a cinque volte quella della semplice nettezza), principalmente scarti di rifiuti che provengono a loro volta da rifiuti: plastiche e tessuti non recuperabili, qualche fango minimo, con basso contenuto organico, mentre il resto entra come materiale da copertura. Vi si trovano abbancati circa 700 mila metri cubi di rifiuti, in una superficie di circa 40 mila metri quadri che dal punto vista geologico risponde alle prescrizioni di legge. Entrando nell’area, ci si imbatte innanzitutto, sulla destra, nella pesa e nell’impianto di lavaggio a ruote, e, sulla sinistra, nel capanno al servizio dell’impianto. Una delle difficoltà che la nuova gestione si è trovata ad affrontare, spiegano i dirigenti, è lo smaltimento del percolato, per cui era evidentemente insufficiente una sola vasca e ne è quindi stata realizzata una seconda raddoppiando i volumi di stoccaggio. Vasche la cui pulizia straordinaria è stata fatta tra il 2020 e il 2021 e ne è in programma una nuova tra circa un anno e mezzo.
E poi il biogas
L’altro grande ambito di cui si occupa la discarica è l’estrazione del biogas, condotta attraverso 60 pozzi disseminati nell’area dell’impianto, tutti a norma di sicurezza in base alle prescrizioni molto stringenti in materia. Ad oggi il gas ha una percentuale intorno al 20-25% di metano: una cifra piuttosto bassa che non permette il recupero energetico.
Salendo verso la cima della discarica, dove l’aria si fa inevitabilmente un po’ più pesante, si possono osservare da vicino i fianchi delle «colline» dove avviene l’abbancamento dei rifiuti, i quali dapprima vengono ricoperti dalla terra e infine da un telo in ldpe e da una rete antivento, con avanzamento settimanale.
«Non è facile gestire un impianto di questo tipo, ma noi lo facciamo con la massima cura ed attenzione - è la conclusione delle guide - Se un impianto è gestito con accortezza, non crea alcun problema per il territorio».