Sul letto dell'Orco la vegetazione ha preso il posto dell’acqua: "Aspettiamo altri danni e morti da piangere?"
Sotto accusa la mancata prevenzione: "Da 20 anni nessuno ha fatto più nulla".
Sul letto dell'Orco la vegetazione ha preso il posto dell’acqua ma non appena la portata tornerà ad essere normale troverà un «tappo» naturale: "Aspettiamo altri danni e morti da piangere?".
Emergenza idrica
«Dobbiamo aspettare altra distruzione e, speriamo di no, altri morti prima che la Regione intervenga dopo 20 anni di assoluto disinteresse?». A porsi questa drammatica domanda è Massimo Paolini, volto noto della politica rivarolese, ma che in questo caso parla da uno dei cinquanta circa residenti di Regione Gave, quel limbo di terra e case che convive sulla sponda orografica sinistra del Torrente Orco. Torrente del quale, oggi, non c’è praticamente più traccia: la siccità che si trascina dallo scorso inverno (è nevicato solo l’8 dicembre) e un 2022 che si appresta a passare alla storia come uno degli anni climaticamente più caldi di sempre hanno di fatto azzerato la portata.
Sul letto dell'Orco la vegetazione ha preso il posto dell’acqua
Ma il tema di fondo non è l’assenza idrica ma un effetto collaterale, di quest’ultima. Ovvero, cosa all’interno dell’alveo del corso d’acqua è cresciuto: piante ed arbusti che rappresentano un vero e proprio ostacolo. Quello che scorre alle porte di Rivarolo è un corridoio ecologico fluviale «largo 800 metri, neanche il delta del Po è così largo, all’interno del quale è dall’alluvione del 2000 che nessuno entra più a fare manutenzione», sottolinea Paolini. «E adesso che al posto d e l l’acqua ci sono gli alberi non appena il corso riprenderà, si spera, la sua portata naturale cosa succederà? Semplice: che tutto questo materiale farà da “tappo” all’acqua che tracimerà oltre, al di là delle sponde che ormai si stanno erodendo, hanno perso nell’arco di questo ventennio la loro capacità di trattenere la forza del fiume». Ed effettivamente, camminando laddove fino a poco tempo fa nuotavano i pesci, sembra di essere all’interno di un bosco! Siamo in un’area circoscrivibile tra i comuni di Rivarolo, Ozegna e Castellamonte sul quale scorre la pedemontana e il suo ponte con le arcate ormai quasi ostruite dalla vegetazione.
"Fascia di rispetto"
Un’area che il piano regolatore di Rivarolo incasella alla voce «3B», ovvero «fascia di rispetto», che tradotto dal burocratese significa che al netto degli immobili già esistenti nulla si tocca e nulla si cambia. Tutto dovrà rimanere così per sempre. A Rivarolo, però, perché se cambiamo sponda o ci spostiamo di qualche chilometro il rischio idrogeologico è meno stringente. «Ma noi che abitiamo in questa località - puntualizza Paolini - paghiamo le tasse come tutti gli altri, nella stessa misura di chi abita in centro e mi chiedo che differenza possa fare se chiedo il cambio di destinazione d’uso, senza la minima variazione di cubatura, di un garage in tavernetta della casa in cui abito. E a chi obietta: “ma sapevi dove andavi a vivere...”, rispondo che siamo in uno Stato libero dove è ancora possibile fare libere scelte e che il mio contributo fiscale è identico a quello degli altri cittadini. E se queste norme urbanistiche sono così stringenti per la nostra sicurezza, mi chiedo perché non si faccia nulla, invece, per prevenire disastri naturali come quelli del 1993 e il 2000».
"Nessun contributo dalla Regione"
E poi la «punzecchiatura» politica. «Mi chiedo perché in questa porzione del Canavese, nonostante in Regione ci siano ben cinque esponenti del territorio, anzi io li chiamo “paladini”, non arrivi mai un contributo per la messa in sicurezza del territorio del fiume; posso (non) capire che i burocrati che non si spostano mai dai loro uffici di piazza Castello a Torino conoscano l’area solo attraverso le cartine ma i rappresentati eletti in questo territorio, sanno bene di cosa stiamo parlando. Eppure, vedo soldi arrivare ma mai atterrare per risolvere questi di problemi».
Discarica a cielo aperto
Massimo Paolini descrive un’area sostanzialmente abbandonata al suo destino e ai suoi residenti. «Meno male che ci siamo noi e che facciamo, con la nostra semplice presenza, controllo, e per quanto possiamo, deterrenza. Contro chi getta rifiuti, ad esempio, ed evitare che diventi la terra di nessuno. Anche perché poi quando il Comune fa intervenire l’azienda di raccolta e smaltimento rifiuti, il conto non è da poco: l’ultima volta sono stati spesi 3.500 euro di soldi pubblici. E se non ci fossimo noi, ad avvisare Vigili o a chiamare i Carabinieri quando occorre quanto costerebbe alla collettività non far diventare questa zona una grande discarica?». Problema, questo, che si è acuito con il «boom» dei cantieri per effetto delle detrazioni fiscali del «110 per cento»: gettare nei pressi dell’orco gli scarti di laterizio anziché seguire le norme ambientali è un ulteriore risparmio; questo illecito però.
Sponde artificiali non manutentate
Anni, dalle drammatiche esondazioni di inizio secolo, in cui quel poco (o tanto: dipende dai punti di vista) che si è realizzato oggi è andato distrutto. «Prendiamo ad esempio quelli che vengono chiamati in “gergo”: pennelli. Sponde artificiali in pietra tenute insieme da gabbie metalliche molto utilizzati lungo il corso del Po e mutuati a suo tempo anche qui sull’Orco. Ebbene, non si è tenuto conto che nel grande fiume ci sia sabbia e i “pennelli” servano anche a farla depositare e che l’acqua scorra a 30 Km orari; qui invece quando c’è la piena si toccano velocità anche di 70 orari e dalla montagna arrivano già massi che sbattono contro la sponda artificiale con la conseguenza, nell’arco di questi 20 anni, facile da intuire». Ed è per questo che oggi, alla vigilia degli anniversari di quelle tragedie (non solo) climatiche, correvano i mesi di ottobre e novembre, riflettere sui temi della prevenzione è un esercizio utile non solo nei giorni successivi i disastri come nell’ultimo episodio nelle Marche, ma lo è molto di più prima di fare la conta milionaria dei danni materiali. E non solo di quelli.