Addio al carabiniere più anziano del Piemonte: è morto Quinto Buffo

E' morto appuntato dei carabinieri Quinto Buffo, 104 anni compiuti il 16 gennaio. Era il militare dell'Arma più vecchio del Piemonte. 

Addio al carabiniere più anziano del Piemonte: è morto Quinto Buffo
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E' morto appuntato dei carabinieri Quinto Buffo, 104 anni compiuti il 16 gennaio. Era il militare dell'Arma più vecchio del Piemonte. 

E' morto appuntato dei carabinieri Quinto Buffo, 104 anni compiuti il 16 gennaio. Era il militare dell'Arma più vecchio del Piemonte. Era stato festeggiato  alla presenza delle alte cariche e ne era l’emblema. «Perché carabinieri si rimane per sempre». E lui, Quinto Buffo, all’epoca - gli anni ‘30 - non avrebbe forse mai pensato di «cucirsi» così addosso quei profondi valori. Di lui avevamo scritto così. Dopo l’addestramento venne destinato in Grecia, fino alla disfatta dell’8 settembre. Partito da Creta il giorno prima insieme ad altri su una barca a remi, venne colto da una burrasca durante la traversata. Dopo aver trascorso un’intera notte su un isolotto, il gruppo approdò alla loro meta: Sira. Ma lì i soldati rimasero per giorni, perché i tedeschi non permisero più a nessuno di ripartire. Divenuto - come gli altri con lui - un ostaggio, Quinto Buffo fu portato al Pireo, e obbligato a scavare trincee. L’aver scatenato una rissa con altri militari, diventati alleati del nemico, costò caro a lui ed i suoi compagni, puniti dai tedeschi e lasciati per 5 giorni senza mangiare. Poi fu trasferito a Mostar, in Bosnia. E una volta lì, Buffo con gli altri decise di scappare. Per giorni i fuggiaschi bivaccarono sulle montagne. Si tagliarono barba e baffi per cercare di somigliare il più possibile alla gente del posto. Il loro intento era raggiungere la costa e salire su una barca per tornare in Italia. Quinto Buffo cambiò anche il suo nome in «Stefano Biestra» e per 15 lunghi mesi fece credere di essere quel soldato - che sapeva combattente in Africa. Ma lui e gli altri militari vennero nuovamente catturati dai tedeschi e, questa volta, rinchiusi nelle prigioni di Sarajevo. Quinto Buffo contrasse la malaria: per giorni ebbe la febbre a 41. Fu ricoverato all’ospedale dove si ammalò anche di tifo, però. Condividendo i suoi dolorosi ricordi in un’intervista ad una rivista, l’appuntato dei carabinieri disse di essere rimasto incosciente per più di una settimana. Una volta dimesso venne ancora una volta trasferito e portato allora al campo di concentramento di Sagan, in Germania. Per mesi rimase lì, con scarsissimo cibo, senza poter appoggiarsi e dormendo sulla terra nuda. La sua odissea proseguì a Breslavia, dove venne rinchiuso in una caserma, cibandosi solo con qualche tozzo di pane e, nei casi migliori, sfamandosi con qualche buccia di patata avanzata dai tedeschi. Anche lì obbligato a lavorare ore e ore, scavando fosse per le vittime della guerra. All’inizio del 1945 Quinto Buffo e gli altri prigionieri furono accompagnati al cimitero della città, quando vennero sorpresi da un bombardamento aereo. Quinto Buffo, rispetto agli altri suoi compagni, rimase un po’ indietro e un ordigno cadde proprio dietro di lui, ricoprendolo di terra dopo la tremenda esplosione. In pochi si salvarono. Il 6 maggio del 1945 la città venne poi occupata dai russi ed i prigionieri furono portati in un campo profughi alla periferia. Quinto Buffo rimase lì fino a settembre. Perché quando lui ed i suoi compagni superstiti si accorsero, che erano state messe di servizio delle guardie, decisero ancora una volta di scappare. Viaggiarono per settimane: avrebbero voluto raggiungere il Brennero. Ma non era sicuro. Così giunsero a Vienna e dopo altri due mesi Quinto Buffo riuscì finalmente a tornare in Italia, a Torino. E dal capoluogo piemontese a bordo della canavesana a raggiungere Valperga. Nei suoi racconti l’appuntato dell’Arma ha ricordato come, una volta alla stazione, si lanciò addirittura dal finestrino tanta era la contentezza di essere di nuovo a casa. E vivo. Ma la sorella gli diede la notizia della morte del padre, avvenuta durante gli anni della guerra. Meditò se continuare a vestire la divisa dopo già dieci lunghi anni, tra il fronte e la prigionia. Poi Quinto Buffo pensò di dover ricominciare una vita, ma indossandola ancora. Venne destinato a Caselle, Torino e Venaria, dove abitò fino al raggiungimento dell’anzianità di servizio, nel 1953. E qualche anno dopo, rimasto vedovo, tornò in Canavese. E nella sua stessa storia di vita, forse, era custodito il segreto della sua longevità.

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