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Bambino in rianimazione, la mamma: "Un miracolo ha salvato mio figlio dal Covid"

I medici non si spiegano l’improvvisa guarigione.

Bambino in rianimazione, la mamma: "Un miracolo ha salvato mio figlio dal Covid"
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C'è chi lo chiama destino, chi karma, qualcun altro fortuna o semplicemente miracolo. Ad ascoltare il racconto di ciò che è avvenuto ad Andrea (il nome è di fantasia) non rimane altro che alzare gli occhi al cielo per ringraziare e poi volgere lo sguardo verso il futuro. Il futuro di un bambino di soli 10 anni che nel giro di pochi giorni è passato dalla gioia di spacchettare i regali di Natale ad essere intubato con un livello d’infezione nel corpo da far temere per la sua vita. Ad aggredire il suo organismo è stato il virus Sars-Cov2.

La scoperta della malattia

Il tutto ha inizio il 24 dicembre, quando sul gruppo WhatsApp di classe arriva il messaggio della positività di un paio di compagni. «Mio figlio – racconta la mamma Monica R., insegnante – stava bene ma abbiamo comunque evitato di invitare a casa i nonni sia per il cenone sia per il pranzo di Natale: io e mio marito eravamo vaccinati, il mio piccolo invece ancora no. Dopo parecchie titubanze, l’avevo iscritto sulla piattaforma. Stavamo aspettando d’essere chiamati».
Prima dell’antidoto è arrivato il virus. «A Natale mio figlio ha iniziato a sentirsi male - prosegue la mamma - Di notte gli è venuta la febbre fino a 39°C. Una cosa anomala per lui che non ha mai avuto una temperatura così alta. Ho chiamato un’amica farmacista che era di turno. Appena ha terminato il lavoro è passata a fargli il tampone che è subito risultato positivo. Il giorno successivo ho chiamato la pediatra che ha prescritto, senza indugi, antibiotico e cortisone. Ci siamo anche procurati un saturimetro per controllargli l’ossigenazione. Giovedì 30, però, la saturazione è scesa a 86 e mio figlio era sempre stanco e disappetente. A quel punto la pediatra mi ha consigliato di portarlo subito al Regina Margherita».

L’ingresso in ospedale

Il tampone di rito al Pronto soccorso, le lastre e il primo verdetto: polmonite al polmone destro. Il bambino viene subito trasferito al 7° piano, in isolamento. La situazione, però, precipita in modo repentino. L’inizio dell’anno è da paura. I medici diagnosticano una polmonite bilaterale. Passano 24 ore e la situazione si aggrava ulteriormente: al quadro clinico già complesso si aggiunge un’infezione sovrapposta, forse di origine batterica. I medici chiedono alla madre la firma per l’uso di un medicinale antivirale che non è adatto per uso pediatrico salvo la compresenza di alcuni parametri che il bambino, nonostante la giovane età, aveva. Il suo utilizzo, però, non dà gli esiti sperati. Martedì 4 i medici decidono per il trasferimento in rianimazione. Nel reparto gli fanno indossare la maschera per la ventilazione. Si spera che in 3 o 4 giorni la situazione migliori.

La vicinanza alla famiglia

Nel frattempo la notizia dello stato del bambino si diffonde in città. Amici, colleghi, conoscenti, parenti sostengono la famiglia: una telefonata, un messaggio. «In quei momenti ci è stato di grande conforto - prosegue la mamma - scoprire di avere la vicinanza di così tante persone». In parrocchia un gruppo di preghiera prega costantemente per il piccolo sospeso tra la vita e la morte.

Il bambino si aggrava e poi il “miracolo”

«Mercoledì 5 gennaio i rianimatori ci dicono che la situazione è compromessa e che devono intubarlo. Gli indici di infezione sono tutti al massimo. In quei momenti sospettano una setticemia. Speravamo che si riprendesse, ma ogni giorno era sempre peggio. Il giorno dell’Epifania ci dicono che vogliono provare a cambiare l’antibiotico».
Il mattino seguente i genitori effettuano la chiamata di rito, alle 13, in reparto. «Quando mi hanno risposto e mi hanno detto che nella notte era successo qualcosa di strano, mi è crollato il mondo addosso. Poi mi hanno spiegato che incredibilmente e inspiegabilmente tutti i valori dell’infezione si erano azzerati. Nemmeno i medici sono riusciti a comprendere questo improvviso miglioramento. Si aspettavano una reazione dell’organismo, ma non così intensa e così repentina. Ognuno può chiamarla come vuole, ma io, che sono credente, non posso che pensare a un miracolo».

L’estubazione e il decorso per tornare a casa

Il 7 gennaio il bambino viene definito “fuori pericolo”. Inizia, così, il lento periodo di estubazione. Ma anche in questo caso, succede qualcosa di anomalo: solo tre giorni dopo i macchinari danno l’ok alla estubazione. I medici seguono la procedura e martedì 11 gennaio il piccolo è solo con la maschera facciale e respira bene, tant’è che giovedì 13 viene risvegliato e riportato al 7° piano in isolamento, mentre il 24 gennaio fa ritorno a casa.

Un grazie a tanti

«È stata un’esperienza provante - dice la madre del bambino - che non auguro a nessuno. Nel contempo non posso non pensare a quanti ci sono stati vicini, ci hanno supportato e aiutato. Abbiamo sentito il calore e la vicinanza di tutta la comunità leinicese. Il nostro grazie va alla pediatra Giulia Battistoni che ci ha aiutati e seguiti da vicino, spiegandoci anche ciò che i medici stavano facendo in ospedale. Un pensiero particolare a tutti i medici, infermieri e al personale del Regina Margherita. Si sono fatti veramente in quattro per aiutare il nostro bambino. L’hanno curato e coccolato in tutti i modi possibili. Sono delle persone fantastiche, sia al reparto Covid sia alla Rianimazione, come il nostro concittadino Roberto Chiesa. Ringrazio anche don Adriano Gennari, per la sua vicinanza, il signor Loreto B. per l’interessamento dimostrato in tutta la nostra vicenda e tutti gli amici di mio figlio che ci hanno fatto sentire tutto il loro affetto». Ora il piccolo può tornare a guardare con maggiore serenità al futuro, riprendere ad andare a scuola, a fare sport e, soprattutto, a sognare di diventare, un giorno, Vigile del fuoco.

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