Castellamonte

Covid un anno dopo dall'ambulanza a dentro una bara

«Questi ultimi 12 mesi che abbiamo vissuto, questo tempo della pandemia, ha portato nelle nostre vite dei grandi cambiamenti»

Covid un anno dopo dall'ambulanza a dentro una bara
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Covid un anno dopo si lotta ancora quotidianamente con una pandemia che ci ha spietatamente sottratto affetti e certezze. Il commento del parroco di Castellamonte, don Angelo Bianchi.

Covid un anno dopo

«Questi ultimi 12 mesi che abbiamo vissuto, questo tempo della pandemia, ha portato nelle nostre vite dei grandi cambiamenti. Dentro questi ultimi si sono poi evidenziate almeno tre situazioni negative – commenta il parroco di Castellamonte, don Angelo Bianchi - Il primo aspetto è, chiaramente, legato alla salute delle persone. Molti nostri concittadini, parrocchiani e fedeli hanno perso a causa del virus dei familiari e loro cari. A segnarci profondamente non è stata tuttavia tanto la morte in sé quanto il non aver potuto salutarli, stringere loro la mano ancora una volta, asciugare quell'ultima lacrima che scende sul viso di chi ha completato il suo percorso in questa vita e si prepara ad essere accolto tra le braccia del Signore. Abbiamo visto le persone a cui volevamo bene uscire di casa in ambulanza e tornare in un carro funebre, senza nemmeno che fossero vestiti ma rinchiusi in sacchi anti contagio».

Il distanziamento

Covid un anno dopo ... non c'è stata però solo questa criticità per l'arciprete di Castellamonte: «L'emergenza epidemiologica ha portato tra di noi il “distanziamento”, una situazione che continuerà anche una volta finita la pandemia. Abbiamo dovuto fare i conti con l'impossibilità di un abbraccio e di stare accanto alle persone anziane e malate. Per loro è stato più difficile che per noi accettare le motivazioni di questo “allontanamento” degli affetti, con la conseguenza di sentirsi molto soli e abbandonati. Ci siamo distanziati, ogni giorno di più, dagli amici e dai nostri cari. Ma ci siamo distanziati anche da Dio. Le chiese hanno chiuso le loro porte e la gente ha smesso di andare a Messa. Ancora adesso, a mesi di distanza dal lockdown totale, non abbiamo più la stessa presenza che avevamo prima del Covid-19. Adottare tutte le misure necessarie a combattere i contagi non è bastato. Se prima in chiesa avevamo 300 persone adesso si fa fatica ad arrivare ai 99-100 consentiti dalle norme sul distanziamento».

I conti non tornano

Bisognerà «fare i conti» in tutti i sensi con quando accaduto per don Angelo: «Siamo stati investiti da una pandemia anche “economica”. Si sono create e si creeranno anche in futuro nuove situazioni di povertà. L'emergenza sarà sempre più abitativa e legata al mondo del lavoro, appena finiranno la cassa integrazione e lo stop ai licenziamenti. Ci saranno nuovi poveri. In questo tempo, ognuno di noi, indipendentemente dalla fede e credo religioso, è chiamato ad accogliere l'altro nelle sue fragilità, mettendosi a disposizione di chi ha più bisogno. La pandemia ha scoperchiato una pentola già in ebollizione, mettendo in risalto le cose più negative dell'esistenza. Penso a quando trovare un giorno giusto per fare catechismo era un problema. Il lunedì c'era il calcetto, martedì basket, mercoledì danza, sabato bisognava andare a fare la spesa. C'era sempre qualcosa che sembrava irrinunciabile e a cui invece un piccolo virus ci ha costretto a fare a meno, chiudendoci in casa e tenendoci lontano da attività e valori che giudicavamo essenziali. Forse è giunto il momento di riflettere sui veri valori della vita da perseguire, accorgendoci che hanno a che fare con Dio».

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