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La storia del partigiano Raffaele Jona, nome di battaglia «Silvio» da Trovinasse

Il racconto di una vicenda appassionate che tocca i tempi più drammatici della nostra storia nazionale

La storia del partigiano Raffaele Jona, nome di battaglia «Silvio» da Trovinasse
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La storia del partigiano Raffaele Jona, nome di battaglia «Silvio» da Trovinasse

«Minuto, modesto, parco di parola…»

«Minuto, modesto, parco di parola, quasi sbiadito e incerto in mezzo alla gente: così appariva negli incontri fugaci. Ma era una forza che con volontà indomabile realizzava i suoi disegni; aveva una sicurezza interna che lo sosteneva senza tentennamenti, enorme coraggio e una dedizione agli altri che gli facevano affrontare le imprese più eroiche come semplici atti quotidiani». Così all’indomani della morte, sul giornale dell’ebraismo torinese «Ha Keillah», Lia Corinaldi descriveva Raffaele Jona. Jona fu il protagonista di una vicenda appassionate, che tocca i tempi più drammatici della nostra storia nazionale. Tutto inizia in una delle tante famiglie ebraiche che, nell’Ottocento, componevano la vasta comunità eporediese.

Le leggi razziali: un ingegnere nella «bufera»

Nato a Ivrea il 17 aprile 1905, dove probabilmente passò l’infanzia, nel 1928 Jona si laureò in Ingegneria meccanica al Politecnico di Torino. Nel 1932, con i fratelli Davide e Giulio, aprì una ditta di recupero di metalli non ferrosi, la Rifometal, di cui divenne presidente. Poi nel 1938 le leggi razziali imposte da Mussolini cambiarono tutto: l’azienda fu messa in liquidazione, mutò denominazione e Jona fu costretto a cederne la presidenza. Sappiamo che fino al 1943 ne rimase alle dipendenze come direttore, continuando di fatto a gestirla.

Dopo l’armistizio: l’attività partigiana

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 Jona cercò di arruolarsi nell’esercito italiano. Nel 1961 ai ragazzi della scuola “Arduino” di Ivrea raccontava: «Io iniziai la mia partecipazione alla guerra partigiana subito dopo l’8 settembre. In quell’epoca mi trovavo a Torino e il 9 settembre, dopo la dichiarazione che la guerra sarebbe continuata, mi presentai come volontario, insieme ad alcuni amici, al distretto di Torino, pensando che era ormai giunto il momento di continuare la guerra attraverso l’esercito italiano contro l’esercito tedesco. Naturalmente mi accorsi subito che quella non era la volontà dei militari che ebbero la faccia tosta di dichiarare che, siccome il giorno prima era stato firmato un armistizio, non vedevano come mai ci fossero dei volontari che cercassero di cominciare la guerra proprio il 9 settembre. Allora mi ritirai sulle montagne e cominciai la mia vita di partigiano». Così, con il nome di battaglia “Silvio”, da Trovinasse, allo sbocco della Valle d’Aosta, Jona iniziò a recuperare armi e ad assistere i militari alleati in fuga dai campi di prigionia verso la Svizzera. Dopodiché, rientrato a Torino, si mise a disposizione del Comitato di liberazione nazionale e, con “Giustizia e Libertà”, iniziò la lotta partigiana vera e propria a Viù, in Val di Lanzo. Poi, su ordine di Duccio Galimberti, nella primavera del 1944 si spostò sul “fronte” caldo della Valle d’Aosta (Champorcher), allora metodicamente rastrellato dai tedeschi e dai loro alleati repubblichini.

Nella Resistenza: l'aiuto agli ebrei italiani

Nominato Commissario generale per la Valle d'Aosta, Jona ricevette poco dopo l’incarico di collegare il CLN con il governo dell’Italia liberata e le autorità alleate attraverso la Confederazione elvetica. La sua attività, condotta segretamente per conto della Delegazione assistenza emigranti ebrei (Delasem), consisteva nel trasportare il denaro, messo a disposizione dalle organizzazioni ebraiche americane, dalla Svizzera agli ebrei italiani. Tra il giugno 1944 e l’aprile 1945 Jona, abile alpinista, attraversò il confine ben 14 volte, mettendo a rischio la vita a favore dei suoi correligionari rimasti in Italia, che al suo coraggio decisero di affidare la loro sopravvivenza. «Più di una volta mi è capitato di sapere di essere scampato alla morte per aver imboccato delle strade, durante le mie marce, diverse da quelle che sarebbero state le strade normali», rivelò l’ingegnere agli studenti nel 1961.

Nel dopoguerra: il lavoro all’Olivetti e l’impegno politico a Ivrea

Nel dopoguerra Jona si avvicinò all’Olivetti, diventandone capo dell’Ufficio approvvigionamenti. Mai iscritto al partito fascista, coerente con il suo percorso in “Giustizia e Libertà”, aderì al Partito d’Azione, per poi avvicinarsi al Movimento Comunità fondato da Adriano Olivetti e intraprendere con lui l’esperienza amministrativa nel comune di Ivrea. Il 27 maggio 1956 Jona vinse le elezioni comunali e, eletto consigliere, prese parte alla giunta del nuovo sindaco Olivetti come assessore alle Finanze. Fu un grande successo. Ma Olivetti, oberato da troppi impegni, il 16 dicembre 1957 interruppe la sua breve esperienza amministrativa. Gli successe Umberto Rossi, già sindaco del Pci, che per due mandati avrebbe retto il comune eporediese, affiancato sempre da Jona come assessore. Nel dicembre 1960, all’indomani delle prime elezioni senza Olivetti vinte di misura, fu proprio Jona, a nome del Movimento, a presentare il programma di Comunità e a raccogliere l’appoggio esterno della Dc e l’astensione dei socialisti. Ma il governo monocolore durò poco e, nell’ottobre 1961, si impose la necessità di un nuovo rimpasto. Le dimissioni di Rossi, due anni dopo, per ragioni di salute provocarono un terremoto politico. Il Movimento non si presentò più alle elezioni. Anche Jona, nell’agosto 1963, esplicitò l’intenzione di dimettersi per i crescenti impegni che lo tenevano lontano da Ivrea.

L’impegno in ambito ebraico: presidente del CDEC

Nel frattempo il suo impegno in ambito ebraico era continuato. Tra il maggio e il dicembre 1945, in virtù dei suoi precedenti incarichi, Jona era stato nominato vicecommissario prefettizio della ricostituita Comunità ebraica di Torino, di cui divenne il primo vicepresidente eletto, sotto l’era di Eugenio Norzi, carica che mantenne fino al 1950. Dal 1946 fu, per una decina d’anni, anche consigliere dell’Unione delle Comunità. Presidente dell’Organizzazione per la rieducazione tecnica, un’associazione per la riqualificazione professionale degli ebrei, alla morte di Olivetti fu chiamato a presiedere il Consiglio generale delle Comunità del Canavese. Un’altra avventura lo vide impegnato, tra il 1965 e il 1980, come presidente del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano. Oggi la Fondazione, guidata da Gadi Luzzatto Voghera, con sede presso il Binario 21 della Stazione Centrale, da dove nel 1943 partivano i convogli per Auschwitz, è un punto di riferimento internazionale per la conservazione della storia ebraica e il monitoraggio contro l’antisemitismo. Ma il CDEC non è sempre stato così. Fondato nel 1955 a Venezia con mezzi di fortuna, l’Istituto avviò proprio sotto la presidenza di Jona la revisione scientifica dei dati sui deportati raccolti dopo la guerra dal colonnello Massimo Adolfo Vitale come presidente del Comitato Ricerche Deportati Ebrei. Nei primi anni Sessanta l’Associazione Nazionale Ex Deportati sollecitò il Centro per inviare un elenco di deportati ebrei da incidere, insieme a quelli dei deportati politici, sui muri del Museo Monumento al Deportato a Carpi. La ricerca, condotta da Giuliana Donati e poi portata avanti da Liliana Picciotto, scovò nomi nuovi culminando, nel 1991, con la pubblicazione via via aggiornata del Libro della memoria degli ebrei deportati dall’Italia. Anche in questa impresa Jona, morto a Ivrea il 7 novembre 1980, lasciò un altro segno indelebile della sua lunga passione politica e civile.

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