Recuperata opera ebanista Pietro Piffetti dal Met di New York | VIDEO

L'indagine è stata svolta dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Torino.

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I Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale hanno recuperato un capolavoro del maestro ebanista Pietro Piffetti. L'opera recuperata ha un valore di oltre € 2.000.000.

Recuperata opera del maestro Piffetti

I Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Torino, dopo un’accurata indagine, hanno recuperato una scrivania a doppio corpo con pregiati intarsi di avorio e madre perla, scomparsa nel secondo dopoguerra dal territorio nazionale e considerata uno dei maggiori capolavori del più importante maestro ebanista del periodo sabaudo, Pietro Piffetti.

Le indagini

L’attività investigativa, coordinata dalla Procura della Repubblica di Torino, trae origine da una comunicazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Città metropolitana di Torino, che segnalava, nella mostra “Genio e maestria: mobili ed ebanisti alla Corte Sabauda tra Settecento e Ottocento”, allestita all’interno della reggia Sabauda, la mancata esposizione di una delle maggiori opere del famoso maestro ebanista, in quanto non più reperibile.
Appresa la notizia, i Carabinieri hanno avviato approfonditi accertamenti che hanno permesso di appurare che l’opera, risparmiata dai bombardamenti di Torino del 1943, era stata venduta ad un privato cittadino e poi, in assenza di autorizzazione esportata all’estero. La scrivania era stata trasportata dapprima in Francia, successivamente in Svizzera e come ultima destinazione negli Stati Uniti, ove alla fine degli anni 90 e per un lungo periodo di tempo, era stata esposta al Metropolitan Museum di New York.

La storia della scrivania a doppio corpo commissionata a Piffetti

Lo sviluppo delle indagini contestualmente all’accurata ricostruzione storico-artistica del preziosissimo bene, condotta in collaborazione con i funzionari dello stesso ufficio torinese del Ministero per i beni e le attività culturali, hanno consentito di dimostrare, inoltre, che lo straordinario capolavoro del Piffetti, fu espressamente concepito e disegnato dall’architetto regio Benedetto Alfieri per essere collocato in un piccolo vano murario degli appartamenti ducali di Palazzo Chiablese di Torino. Infatti la scrivania era stata ideata non come arredo mobile autonomo, bensì come perfetta integrazione dell'apparato decorativo della sala, quindi legata alle boiseries, su cui poggiava il corpo inferiore a ribalta, mentre lo slancio dell'alzata ad ali pensili era accolto da un'alta nicchia muraria, tagliata a misura per contenerla. Questo particolare ha confermato l’imprescindibile legame del bene all'immobile demaniale e quindi l’appartenenza allo Stato italiano. Per tale motivo, l’ultimo possessore, in buona fede, appresa l’illecita detenzione ne ha convenuto la restituzione all’Italia.

Dettagli dell'opera

La scrivania fu realizzata tra il 1767 e il 1768 da Pietro Piffetti, come attestano i documenti di pagamento: dai conti di Sua Maestà si apprende che essa fu pagata oltre 2500 lire e che era destinata al “gabinetto attiguo alla galleria del secondo appartamento di S.A.R. il Duca di Chablais in questa città”. Si tratta del palazzo fatto rinnovare a partire dal 1753 dal re di Sardegna Carlo Emanuele III per l’ultimo dei suoi figli, Benedetto Maurizio, duca del Chiablese (1741-1808). Il “secondo appartamento” fu allestito dopo il 1760 in vista del matrimonio del duca con la figlia dell’imperatore Francesco I; sfumato tale ambizioso piano, l’appartamento fu occupato da Maria Anna di Savoia, che sposò Benedetto Maurizio nel 1775.
A partire dal 1781 la scrivania è identificabile negli inventari del palazzo in quanto arredo del boudoir della duchessa. Si trattava di un ambiente di dimensioni molto ridotte, oggi non più esistente. Alla metà dell’Ottocento, dopo il passaggio del palazzo alla Casa di Savoia-Genova, l’appartamento della duchessa subì interventi radicali in occasione delle nozze tra il duca Ferdinando, figlio di Carlo Alberto, ed Elisabetta di Sassonia (1850); in particolare, il boudoir settecentesco fu smantellato e la scrivania di Piffetti spostata nell’adiacente galleria alfieriana, trasformata in camera dell’alcova, adattandola a una nicchia ricavata in un angolo, come documentano alcune fotografie storiche. Nel 1943 tutti gli arredi del palazzo furono trasferiti nel castello di Aglié per metterli in salvo dai bombardamenti; le incursioni aeree dell’aviazione inglese, infatti, colpirono duramente l’edificio nella notte tra il 12 e il 13 luglio, distruggendo completamente l’area del boudoir della duchessa, mentre si è miracolosamente salvata la vicina alcova. Passato al Demanio dello Stato, il palazzo divenne nel 1947 sede della Soprintendenza ai monumenti del Piemonte; gli arredi furono oggetto di una lunga contesa tra lo Stato e i duchi di Genova, che riuscirono infine a vedersene riconosciuta la proprietà. La scrivania, passata in una collezione privata europea, è stata esposta per diversi anni al Metropolitan Museum di New York, intorno al 2000.
Il mobile è costituito da un corpo inferiore con cassetti e ribalta e da un corpo superiore fornito di scansie e di un’anta a specchio, chiuso da elementi verticali ricurvi e da una cornice mistilinea in alto. Eseguito con l’impiego di legni rari, presenta un’esuberante decorazione in avorio inciso e colorato e madreperla e applicazioni in bronzo dorato; l’andamento mosso denuncia la sua originaria destinazione a uno spazio privato, assai raccolto. Attribuita in passato a Giovanni Galletti, la scrivania è invece – come attestano i documenti – opera estrema dell’ebanista di corte Pietro Piffetti (1701-1777), che la eseguì all’età di 66 anni.

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